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Homo – Humus – Humilis
MANUALETTO PER UNA COLTIVAZIONE SENZA LAVORAZIONE DEL SUOLO E SENZA IRRIGAZIONE AUTOMATICA
Parafrasando il Lorax del dr. Seuss che “parla per gli alberi che voce non hanno”, vorrei dar voce alla terra, ovvero allo strato superficiale di crosta terrestre che ospita l’Humus.
Humus e Homo sono etimologicamente connessi tra di loro e non a caso; La parola “Uomo” deriva dal latino “Homo” che è a sua volta collegata con la parola “Humus” ovvero “Terra”. Uomo e Terra sono uniti visceralmente. Comprendere ciò può aiutarci a cambiare atteggiamento, rispettare il suolo e quindi noi stessi.
Il testo è indirizzato a tutti gli esseri umani che mangiano ortaggi. Agli amanti della natura e soprattutto a tutti coloro che già hanno esperienza nella conduzione di un orto e cercano un modo naturale di far produrre alla terra per scopo di autoconsumo. Ma anche molti altri possono beneficiare di questa lettura, per esempio coloro che hanno scarsa disponibilità di acqua irrigua, tutti gli operatori agricoli aperti verso nuove possibilità o chi desidera rigenerare un suolo povero.
Il lettore non si aspetti una ricetta magica. Non esiste! Come non esistono pasticchette che risolvono tutti i nostri guai. Quello che posso fare, mettendo da parte campanilismi e personalismi, è condividere, (sperando che lo facciate anche voi) informazioni ed esperienze che possono aiutarci ed indirizzarci verso scelte più consapevoli accorciando le tempistiche di sperimentazione per raggiungere degli obiettivi. Ad ogni modo il processo continuo e personale di azione – osservazione dei risultati – aggiustamento del tiro attraverso la nuova azione, è parte inevitabile ed imprescindibile di questa come di molte altre attività umane. È necessario entrare in un’ottica in cui non sono gli esperti che ci dicono come si fa l’orto, ma è la nostra terra che ci dice di cosa ha bisogno per ricreare l’abbondanza e la prosperità che i secoli di sfruttamento precedente le hanno tolto. Sostanzialmente si tratta di mettersi al servizio, di chinarsi e coltivare Umiltà che guarda caso deriva anch’essa dal latino Humilis a sua volta collegato al temine Humus-Terra.
Le varie tecniche e modalità di lavoro sono degli strumenti ed ogni strumento è di per sé neutro, né buono né cattivo, sta a noi aver chiari gli obiettivi e conoscere il nostro terreno di azione affinché lo si possa utilizzare con cognizione.
L’evoluzione nel mio modo di approcciare l’orto coincide, come molte altre attività, con il mio percorso di crescita personale.
Io stesso, come molte persone e per molto tempo, anche se animato da positivi intenti di rispettare la terra, (si pensi all’agricoltura biologica e derivati) ho continuato di fatto a maltrattarla, per anni. Fortunatamente, nel cercare nuove strade, attraverso gli esperimenti recenti ho chiarito aspetti pratici che mi auguro possano essere utili non solo agli amici e conoscenti che mi stanno chiedendo informazioni ma anche ad altri lettori che potrebbero identificarsi e ritrovarsi in alcuni passaggi che sono comuni a tutti gli Uomini in cammino. Eccomi quindi, spinto dalla voglia di metterle insieme in maniera più ordinata, le riflessioni e le conoscenze acquisite nel percorso.
Gli aspetti pratici sono approfonditi in particolare nei capitoli HUMUS, PACCIAMATURA, ERBE SPONTANEE e IRRIGAZIONE.
Ho cominciato con l’intento di scrivere un breve articolo, ma il testo si è allungato un po’ più del previsto, così per renderlo più fruibile ho pensato di dividerlo in capitoli.
- Premesse, la mia storia personale
- L’illuminazione
- HUMUS, sostanza misteriosa e olistica
- PACCIAMATURA – materiali e tecnica
- LO ZEN E L’ARTE della Pacciamatura
- ERBE SPONTANEE
- IRRIGAZIONE
- FOTOSINTESI CLOROFILLIANA e la ruota della vita
- FUNGHI
- Importanti nozioni sulla Storia dell’Agricoltura
- Il Bilancio Energetico
- Altre Curiosità
1. Premessa, la mia storia personale
Nonostante nella mia libreria ci fosse da anni il libro di E.H. Faulkner “Plowman’s Folly” – “La follia dell’uomo che ara” soltanto di recente, ad un certo punto ho visto di colpo con chiarezza questa follia, questo autolesionismo che praticavo io stesso continuando a lavorare la terra.
Da una ventina di anni ho iniziato a prendermi cura di un pezzo di terra avuto in eredità da mio nonno. Oltre ad averci piantato numerosi alberi da frutta e non solo, la voglia di produrre ortaggi mi ha portato nel tempo a studiare e valutare molti diversi approcci naturali all’agricoltura. Ho scoperto che tutti i metodi, specie quelli più naturali parlano della Pacciamatura, la pratica di coprire il suolo con materia organica: alcuni dandole più importanza, altri meno.
Ho fatto molti tentativi, esperimenti e prove. Ho iniziato vent’anni fa, come molti, con il semplice sostituire i concimi chimici con quelli “biologici”, pensando che questo potesse essere sufficiente a fare le cose secondo natura.
Continuando ad essere animato dalla ricerca di Semplificazione, Autosufficienza e Rispetto della Terra, mi sono reso conto che sostituire i prodotti chimici con quelli biologici non era sufficiente. Serviva fare qualche cambiamento più profondo ma non capivo bene quale. Il sistema che adottavo era sempre basato sulle classiche lavorazioni del terreno con mezzi meccanici a scoppio. Ero totalmente dipendente dall’elettricità per pompare acqua dal pozzo, dalle pompe elettriche non auto costruibili e da tutti i componenti plastici industriali, tubi, valvole, rubinetti e centraline digitali con tanto di batterie che compongono l’impianto di irrigazione automatico.
Passando per esperimenti di biodinamica, cenni di permacultura, agricoltura sinergica, continuavo a non sentirmi soddisfatto, per fortuna continuavo sempre a sentire dentro di me una vocina. Questa mi ricordava che c’era sempre qualcosa che non andava, qualcosa in questi modi di fare che non mi faceva apprezzare e godere appieno il lavoro di coltivare alcuni ortaggi per casa. Oggi a posteriori ho realizzato che si trattava e si tratta tuttora, di ricercare una precisa maniera di vivere in ogni attività della vita, anche quindi nelle pratiche agricole, uno stato di armonia e bellezza interiore ed esteriore. Non sono mai stato capace di rassegnarmi all’atteggiamento culturale moderno in cui si è disposti a “non vivere” quando si lavora per poi godere in futuro dei frutti del lavoro.
Questo modo di ragionare e di essere si scontra con l’innato bisogno di tuffarci invece qui ed ora in uno stato di continua presente connessione con il tutto.
Ovviamente gli ortaggi andavano ad integrare la raccolta e l’utilizzo dei frutti spontanei abbondanti, sani, gratuiti e gustosi. Forse sono stati e sono anche loro a spingermi verso una via di un agricoltura sempre più dolce, come fosse di transizione per un graduale ritorno ad esistenze di pura raccolta e fede nell’abbondanza della vita.
Senza escludere che si possa andare con il cuore in pace dentro un supermercato a comprare il cibo o fare agricoltura chimica senza alcun senso di colpa, trovo sia incomparabile la bellezza che possiamo esperire intorno a noi da una passeggiata in un campo di erbe, bacche, fiori e tuberi selvatici appena fuori casa, alla ricerca delle nostre preferite o delle foglioline migliori, rispetto al dover cercare cibo industriale tra gli scaffali di un supermercato, raggiunto magari per mezzo di un’autovettura.
Comunque grazie al “malessere interiore” e alla sensazione di incompletezza ho continuato a cercare e sperimentare. Non sono mai stato capace di rassegnarmi alla pressione sociale del “che ci puoi fare, è cosi che funziona la vita!” Quindi continuo ad affrontare i miei limiti per scoprire sempre più che tutto è possibile.
L’orto sinergico, in quanto basato sulla non lavorazione del suolo, sembrava potesse essere la soluzione. È stato avviato in pompa magna nel nostro campo durante un corso con 20 persone seguendo scrupolosamente le indicazioni e la guida di uno dei principali divulgatori in Italia di questa tecnica/filosofia. Il mio focus non era ancora di ascolto, studio ed osservazione della natura, ma c’era ancora molta attitudine ad affidarsi agli esperti piuttosto che aver fiducia nella guida interiore. Da ogni tappa comunque si può apprendere qualcosa: l’insegnante venne da noi per tre giorni di studio e lavoro tutti insieme. Mi sembrarono interessanti i concetti sul suolo e la sinergia delle piante che si aiutano tra di loro, ma alla fine anche l’orto sinergico con i suoi bancali a spirale che avevamo realizzato, è stato abbandonato. È stata una agonia durata qualche anno ma alla fine ci siamo dovuti arrendere alle evidenze: il sistema non funzionava! Purtroppo il motivo ed il punto debole che oggi mi appare così ovvio e banale, all’epoca non lo era affatto. Regnava lo smarrimento. In questi momenti la tendenza può essere quella di abbandonare tutto e tornare a fare agricoltura convenzionale, oppure di recarsi direttamente al supermercato! 🙂
A questo punto dobbiamo fare alcune premesse:
Solo questi ultimi giorni ho saputo che in alcuni testi e corsi sull’agricoltura Sinergica il bancale non è spiegato come un requisito indispensabile e questo mi ha fatto molto piacere, poiché per come era arrivata a me la tecnica e per come ho sempre visto fare dalle mie parti, questo non era affatto chiaro. Ovvero tutti quelli che ho conosciuto fanno il sinergico con i bancali senza riflettere sull’opportunità o meno a seconda delle condizioni e degli obiettivi.
Nell’agricoltura sinergica si parla molto dell’importanza della pacciamatura (pratica fondamentale che spiegheremo meglio più avanti) ma si trascura un aspetto fondamentale nell’applicazione pratica e cioè il fatto che questa non si sposa affatto bene con la forma dei bancali rialzati, da cui ovviamente tende a scivolare verso il basso, spinta dalla semplice forza di gravità sostenuta ed aiutata dal vento e dalla pioggia.
Inoltre, nei climi come il nostro in cui, specialmente in estate, trascorrono anche tre o più mesi senza piogge rilevanti che siano in grado di inumidire il terreno, il bancale è la peggior cosa che si possa fare in quanto espone e scopre una superficie massima alla disidratazione ed alla evaporazione (un problema simile a quello delle piante in vaso), rendendo indispensabile un impianto di irrigazione automatica e lo spreco di moltissima acqua. Difatti tutti gli orti sinergici alle nostre latitudini, vengono costruiti con impianti a goccia.
La presenza dell’impianto a goccia automatico inoltre ci impedisce di creare una connessione con il nostro terreno in termini di monitoraggio dei risultati più o meno efficaci del nostro lavoro di pacciamatura, anzi, direi proprio che l’utilizzo dell’impianto a goccia, ci disincentiva ad imparare come realizzare una buona pacciamatura. Se è vero che necessità fa virtù, non avendo alcun bisogno di mantenere umido il terreno per vie naturali dal momento che c’è l’aiutino tecnologico, non siamo affatto stimolati a trovare soluzioni e ci perdiamo di conseguenza anche gli altri fondamentali benefici della buona pacciamatura, ovvero la creazione di humus e il contenimento delle spontanee.
Insomma, ho iniziato a comprendere e accettare che in climi caldi e secchi il bancale non è compatibile con una buona pacciamatura che deve essere molto, molto consistente (si parla di una ventina di cm almeno). Ma quindi come si può fare? La lettura di un libro sul tema mi ha stimolato a ripartire con estrema semplicità da un suolo selvatico in piano, piegare le spontanee e pacciamare sopra di esse. Cosi ho fatto, con la variante che solo in alcuni casi prima di pacciamare ho sparso in superficie del letame maturo derivante da pulizia delle stalle di cavalli che ho spesso disponibile per via della vicinanza con il maneggio di mia sorella e in una terza variante prima di pacciamare ho inglobato il letame nel terreno con una fresatura superficiale. Quindi ho sperimentato tutti e tre i sistemi. E tutti e tre funzionano ma hanno caratteristiche e tempistiche diverse.
A quel punto se abbiamo pazienza il gioco e’ fatto. Ho toccato con le mie mani dopo un anno o due il terreno sotto la pacciamatura (anche quello mai fresato in partenza) e sembra un miracolo osservare la nostra terra, in origine dura, asfittica e argillosa trasformata lentamente, ma nemmeno troppo, in HUMUS.
2. L’illuminazione
Non so se riuscirò a rendere il concetto con le parole scritte ma ad un certo punto per me è stata come una folgorazione, ho visto cosi chiaramente la follia delle nostre abitudini agricole che ora non posso più tornare indietro. Sotto gli occhi di tutti, è tanto semplice e banale, quanto potente nella sua rivelazione: le lavorazioni del suolo (come aratura o fresatura), facilitano la disidratazione/sterilizzazione con conseguente necessità di perpetuare ancora una volta la pratica di concimare e cosi via per cicli infiniti è PURA FOLLIA! Ci diamo la zappa sui piedi da soli, continuamente, ogni volta dopo aver concimato e bagnato il terreno, questo inizia a creare una sua vitalità e una sua stratigrafia interna, arrivano le forme di vita pioniere che aprono la strada al percorso di creazione dell’humus…. la terra ancora una volta con pazienza “felina” verso i nostri soprusi si mette fiduciosa in moto… si rimbocca le maniche per rimediare ai nostri danni… e noi che facciamo, dopo aver raccolto? Lavoriamo di nuovo il terreno! Noooo! Siamo davvero folli! Lo lasciamo nudo sotto al sole cocente e sterilizzante, impoverendolo di nuovo di quel poco di vita organica che si stava lentamente organizzando per ripartire… e cosi via in cicli infiniti di “infanticidio humico”.
Perché sono stato cosi ottuso per tanti anni? Perché non vedevo che è tutto così semplice? La fertilità è già presente in natura e la terra fa tutto da sola, dobbiamo solo lasciarla in pace, rispettarla, ALLEARCI con lei. Ma ci hanno educato ad approcciare con spirito bellicoso e combattivo, siamo solitamente così poveri di spirito che non ci sentiamo degni di ricevere doni dalla terra in modo totalmente gratuito come le piante spontanee che già di per se possono con estrema dignità sostituire gran parte degli ortaggi coltivati. Ne’ tanto meno pensiamo che sia possibile ricevere in dono dalla natura degli ottimi ortaggi cresciuti nel solo humus che i “lombrichi” e tutti gli “animaletti” gli esseri viventi del suolo in coro hanno prodotto “gratuitamente” per noi e per il bene di tutti.
Attenzione cmq non è una strada per chi non ha voglia di impegnarsi, non tanto fisicamente quanto piuttosto in presenza e attenzione in quello che si fa. Anzi il lavoro fisico di un orto di questo tipo lo trovo molto più piacevole di quello che facevo prima utilizzando spesso la motozappa con tutte le sue vibrazioni e rumore che rovinano completamente la bellezza e la poesia del vivere il contatto con la natura campestre.
Non parliamo nemmeno del dispiacere di veder uccisi e fresati i lombrichi e gli animaletti vari che popolano i terreni.
3 HUMUS, sostanza misteriosa e olistica
La chiave per capire e risolvere i nostri dubbi e problemi risiede nella comprensione dell’HUMUS, il vero terreno naturale, lo strato biologicamente vivo ed attivo del suolo, che:
- Ha la capacità di trattenere l’umidità al suo interno, massimizzando la fruibilità di acqua per le piante nei periodi di siccità.
- È il miglior concime naturale e substrato perfetto, nel quale far crescere le piante.
- Non ha problemi di comprimibilità da calpestio come nel caso dei terreni molto argillosi.
L’humus si forma grazie al processo di biodegradazione dei composti organici presenti nel terreno, sia di origine vegetale che animale.
Infatti: dove si trova in natura il terreno migliore?
Tutti sappiamo quanto sia bello e profumato il terreno di sottobosco! E perché? Gli alberi cedono al terreno le loro foglie e si “auto-nutrono”, questa è la famosa PACCIAMATURA nella versione naturale del bosco (vedremo nel prossimo capitolo di analizzarla meglio). E si! I rami e le foglie che cadono nutrono il suolo, che per mezzo di tutti i microrganismi, batteri, funghi, lombrichi, insetti ed altri artropodi, vengono nel giro di 1-3 anni trasformate in humus/terra. Grazie a questa manodopera invisibile dell’agricoltore, il ciclo si chiude con la gioia di tutti gli esseri viventi, che strada facendo hanno sia preso che dato qualcosa per il bene di tutti. (vedere approfondimento sulla fotosintesi per comprendere meglio) In natura non ci sono esseri che prendono e basta.
Per questo ovviamente tagliando un bosco, per un bel po di anni possiamo avere ottimi risultati agricoli utilizzando questo strato fertile che è stato creato dalla “ciclo biologico boschivo” in anni di silenzioso lavorio sotterraneo. Per millenni le civiltà agricole, degne rappresentanti degli uomini che già 10.000 o più anni fa smarrirono gradualmente la cognizione del loro posto nell’universo, sono andate avanti a “depredare” pezzi di terra; a prendere senza dare nulla o troppo poco in cambio al suolo che utilizzavano e spostandosi altrove una che quel pezzo di terra fosse inaridito/desertificato per lo sfruttamento eccessivo, si spostavano da un altra parte. Questo modus operandi ha influenzato profondamente anche il nostro modo di essere e pensare. Ciò non toglie che tutt’oggi sia possibile, quando le condizioni lo permettono e suggeriscono, fare altrettanto, ovvero avviare un orto in un margine boschivo, ma con l’accortezza di continuare a nutrire il suolo anziché prendere e basta per poi passare altrove. In questo caso dovremo porre un’attenzione in più alle interazioni con le alberature vicine (specie dal punto di vista della luce) e valutare il rischio di non imparare se stiamo agendo bene o male, dal momento che per un po di anni tutto andrà benissimo, visto che nell’abbondanza dell’humus di bosco le nostre azioni influiranno meno sui risultati delle nostre produzioni.
Se da una parte moltissimo si è compreso, e oggi sappiamo quanti miliardi di microorganismi, batteri, funghi, alghe, vermi ecc.. sono presenti in ogni centimetro quadrato di suolo, l’Humus continua ad essere un composto in parte misterioso per la scienza. Ho scoperto essere definibile come un mix di aggregati che funzionano in maniera olistica, ovvero in cui l’insieme non e’ uguale alla somma delle parti. La scienza moderna, per lo più indirizzata a studiare un elemento alla volta, sta mettendo in luce il fatto che l’humus non può essere ridotto alla somma di questi elementi messi insieme.
Nonostante la “perversa” eredità culturale, nella specie umana continuano a nascere anime sensibili che sentono l’inghippo, percepiscono che qualcosa non va, che non ci stanno a giocare il gioco della predazione selvaggia, che desiderano integrarsi con rispetto e gioia in un ecosistema che offre abbondanza per tutti. Sì, se lasciamo fare alla natura, questa crea sempre abbondanza. L’humus è abbondanza, l’abbondanza di Madre Terra, un buffet naturale a cui tutti possono attingere senza il rischio di togliere a nessuno.
State iniziando a comprendere dove risiedono i problemi ed allo stesso tempo la soluzione?
Ovviamente il punto è che, nel processo di agricoltura è indispensabile pacciamare, ma anche e soprattutto continuare costantemente a farlo, nutrire il terreno con regolarità, come gli alberi che costantemente cedono le loro foglie al suolo.
A questo punto avrete capito che se c’è qualcosa su cui bisogna specializzarsi, studiare e porre il massimo dell’attenzione e della concentrazione è imparare a fare una buona pacciamatura per permettere la creazione di un ottimo strato humico di suolo:
- Bisogna arrivare ad avere nel proprio orto, come nel bosco, una stratigrafia completa, dal materiale secco appena immesso, fino al materiale quasi del tutto decomposto in humus passando per gli strati intermedi con le foglie sminuzzate e cosi via.
- Per farlo occorre procurarsi del materiale idoneo ed utilizzare ad arte quello che si ha o ci si procura.
4. PACCIAMATURA
Parliamo dunque della pratica di cospargere al suolo materiale organico per ombreggiare e nutrire il terreno, ridurre la presenza delle erbe spontanee.
- Quale il miglior materiale per pacciamare?
- Come si fa una buona pacciamatura?
Pur sentendomi di dire che il miglior materiale è sempre quello che abbiamo a disposizione o è più facilmente reperibile, dobbiamo per onestà fare alcune specifiche: se volessimo seguire in pieno la natura, il miglior materiale per pacciamare un terreno è esattamente quello che lui stesso crea per auto-pacciamarsi, quindi il fieno spontaneo del posto. Difatti, se abbandonassimo le terre nel giro di qualche decennio ritornerebbero ad essere fertili e brulicanti di vita, ma visto che come al solito siamo un tantino frettolosi possiamo creare una artificiale e disomogenea distribuzione della naturale pacciamatura prodotta dal suolo, concentrando il fieno raccolto in un pezzo di terra più grande nel nostro pezzettino di orto. In questo modo il processo sarà più veloce, ma di contro dobbiamo essere consapevoli che lo rallenteremo laddove preleviamo il materiale.
Il fieno è ricco di molte varietà di piante e questa diversità rappresenta una maggiore diversificazione di nutrienti rispetto alla paglia, che come sapete è costituita dal solo stelo del grano o degli altri cereali coltivati nelle monocolture moderne. Ad ogni modo la terra è di bocca buona e si adatta a “mangiare/digerire” quel che gli diamo.
Personalmente utilizzo principalmente queste cose:
- Fieno auto-prodotto in loco con la falce a mano (tagliato e lasciato seccare qualche giorno al sole prima di utilizzarlo o stoccarlo in un mucchio per riserva)
- Rotoballe di fieno andate a male, diversamente destinate al fuoco, non più adatte a sfamare i cavalli di mia sorella
- Cippato auto-prodotto dallo smaltimento delle frasche di potature di qualunque essenza (anch’esse sottratte al fuoco). Da notare che il cippato è derivato da un mezzo meccanico per cui personalmente lo considero valido in quanto mi permette di smaltire materiale organico trasformandolo in risorsa che altrimenti andrebbe bruciato. È utile ma non indispensabile.
- Rotoballe di paglia acquistate per integrare quando gli altri elementi non sono sufficienti. Questo rappresenta il compromesso maggiore visto che derivano dalla agricoltura meccanizzata moderna ma non bisogna essere estremisti e se non si riesce sempre ad auto prodursi il fieno perché non facciamo gli ortolani a titolo principale, ci sta pure qualche compromesso.
- In alcuni casi, per tenere in stand-by un terreno o per facilitare la crescita orizzontale di piante di zucche, mi semplifico il lavoro e aggiungo in superficie, sopra alla pacciamatura organica,
- un telo ombreggiante telato, provvisorio, capace di far filtrare acqua della pioggia ma bloccare la crescita delle spontanee. Anche questo è un compromesso per risparmiare tempo, ma appunto non dobbiamo scadere negli estremismi.
Altri materiali per la pacciamatura sui quali però non ho molta esperienza diretta sono:
- Lana di pecora di scarto, che mi dicono essere ottima sia per nutrire il suolo in quanto rilascia molto azoto sia per il suo effetto coibentante, che si sposa molto bene con i climi molto caldi.
- Cartoni, molti li utilizzano, specie in mancanza di altro materiale, a me non piace utilizzarli ma se non avessi altro, sceglierei quelli non colorati in modo da ridurre al minimo l’apporto di inquinanti chimici nel terreno e ne prenderei i vantaggi. Non facendo filtrare per niente luce, sono molto utili per tenere completamente a bada le erbacce, mantenere umido e nutrire il suolo man mano che si degradano. È importante accavallarli tra di loro di 10-20 cm. per evitare che le spontanee crescano tra le fessure e bloccarli con delle pietre, tronchi o cmq qualcosa di pesante per evitare che il vento “sparecchi” tutto il nostro puzzle.
- Foglie. Ovviamente le foglie sono perfette, c’è solo da sapere che non sono tutte uguali e adatte all’orto, l’eucalipto non va bene ad esempio perché contiene delle sostanze che inibiscono la crescita delle altre piante, cosi come gli aghi di pino e le conifere rendono acido il terreno. Per il resto, seppur con caratteristiche nutrizionali differenti, vanno tutte bene. Se sei ai margini del bosco o hai angoli dove il vento accumula montagne di foglie, quelle possono essere assolutamente prelevate ed utilizzate.
- Segatura, ovviamente proveniente da legnami naturali non trattati, se disponibile ed opportunamente sparsa e miscelata è un ottimo materiale. Attenzione alla segatura di conifere che, essendo ricca di resine può acidificare e risultare un po “indigesta” per il nostro suolo.
Nella mia esperienza è cosa buona tenere sempre qualche rotoballa di riserva vicino all’orto. Per trasmettere con precisione e maggiore efficacia la mia esperienza su come assemblare il tutto in campo, rimando ad eventuali incontri dal vivo.
Per completezza di informazioni è importante sottolineare anche che:
La pacciamatura non solo evita la disidratazione del suolo ma anche il suo surriscaldamento, che porterebbe stress all’apparato radicale delle piante sottoposte al forte calore.
Il miglior risultato che sono riuscito ad ottenere in piena estate in termini di mantenimento di umidità del suolo sufficiente a garantire una buona la vita delle piante è di una quindicina di giorni. Questo risultato lo considero ottimo anche se so che si può fare molto di meglio. Tendenzialmente se arriviamo a far reggere l’umidità una settimana nei momenti di massima calura, siamo già ad un buon traguardo. La partita si gioca in gran parte su questo aspetto, poiché ovviamente tanto più il sistema è stabile e indipendente da nostri frequenti o quotidiani interventi, tanto più possiamo rilassarci e tutto funziona per il meglio.
Mi piace molto l’esclamazione di chi dice: “Quando pensi di aver pacciamato abbastanza, raddoppia”!
Nel 99% degli orti pacciamati che ho osservato, anche ad opera di persone mosse da nobili intenti etici e ambientali, la quantità di materia organica deposta in superficie si rivela irrisoria, non in grado di fare la differenza, incapace spesso persino di mascherare alla vista il 100% del suolo sottostante.
E purtroppo quindi seppur tutti i sistemi agricoli alternativi parlano di pacciamatura in termini corretti circa la sua importanza, nella pratica abbiamo solitamente intorno a noi pessimi esempi applicativi che influenzano e condizionano il nostro agire, molti di noi quindi spargono quella spruzzatina di paglietta in superficie pensando di pacciamare ma ci si rende conto ben presto che non serve quasi a niente. Cosi non se ne apprezzano i benefici e si inizia a porre attenzione su tutto il resto… irrigazione automatica, concimazioni e tutto quello che già si conosce. Per non scoraggiarsi quindi la pacciamatura bisogna farla per bene e DEVE:
- coprire totalmente il suolo
- coprire una superficie non inferiore ai 2/3 metri di larghezza
- avere uno spessore importante e proporzionato alla sua densità
Su questo terzo punto dobbiamo spendere qualche altra parola: abbiamo già detto che se lasciassimo fare alla natura, con i suoi tempi si creerebbe sul suolo una stratigrafia dal più grezzo al più fine man mano che si va dall’alto verso il basso, ma non è soltanto un fatto di “grandezza”, bensì anche di “consistenza”, ovvero, in basso avremo materiale ad uno stadio più avanzato nel processo di decomposizione e degradazione. Dovrebbe quindi già risultarvi chiaro come regolarvi, giusto?
È importante nella posa dei materiali mettere i più fini e decomposti in basso, quindi per primi. Sopra ad essi i più freschi e grossi che per arrivare agli strati bassi avranno il tempo che il terreno impiegherà per digerite quelli sottostanti. In questo periodo gli agenti atmosferici faranno il loro lavoro, insieme al nostro calpestio, alla fauna ed ai funghi, gli strati superficiali diverranno sempre più secchi, in pezzi sempre più piccoli che poi dovranno essere ricoperti da altro materiale pacciamante nuovo che dovremo con regolarità aggiungere in superficie e cosi via fintanto che vorremo essere noi a determinare un alta vitalità/fertilità naturale di quel pezzo di terra.
Ed il cippato ?
Bisogna specificare che il cippato contiene la lignina (un po’ come nel bosco oltre alle foglie ci sono i rami secchi) la cui degradazione ad opera sopratutto dei funghi contribuisce a nutrire il suolo, come nel bosco dove oltre alle foglie ci sono anche i tronchi o i rametti secchi degli alberi. La paglia ed il fieno, invece, apportano principalmente cellulosa.
Entrambe, Lignina e Cellulosa sono utili.
Anche sul cippato si potrebbe fare una intera trattazione (vedere testi specifici in bibliografia) ma per ora posso affermare che bisogna usarlo sempre con maestria, scegliendo le giuste essenze ed nelle giuste dosi e grado di essiccazione. Se ne spargiamo una piccola parte tra paglia e fieno non corriamo rischio di fare danni ma andremo ad arricchire il nostro mix.
Inoltre, a prescindere dal grado di invecchiamento della materia organica, avere del materiale un po’ fine risulta utilissimo per:
- inserirlo tra le piante già presenti nell’orto, dove con arbusti troppo grossolani si rischierebbe di danneggiare quanto già impiantato
- spolverarne uno strato sottile sopra eventuali semine da seme (che personalmente trovo inopportuno fare in estate in questo tipo di orto)
- aumentare la densità dello strato di materia organica
5. LO ZEN E L’ARTE DELLA PACCIAMATURA
Serve ancora una specificazione rispetto al punto numero 3. Se per esempio vi dicessi di mettere giù 20 cm. di paglia o fieno, pensate che il rendimento sia lo stesso se queste sono di taglia grossa e lunga o fine e corta? Ovviamente no! E la differenza nel risultato finale e funzionale è enorme! Anche in questo caso potremmo dire che l’arte della pacciamatura si inserisce nel filone della “Giusta via di Mezzo”. Come potete immaginare una pacciamatura di materiale grossolano avrebbe anche difficoltà ad aderire/toccare fisicamente il suolo sottostante e come dovreste sapere i lombrichi non volano ma arrivano sulla superficie del suolo per nutrirsi della materia organica avviata alla decomposizione. Una consistenza troppo ariosa non permette inoltre di svolgere il ruolo “isolante” per il mantenimento dell’umidità, come d’altro canto una consistenza troppo fitta e compatta stimolerebbe una digestione anaerobica non adatta al nostro scopo, che può essere perfino dannosa.
Quanto esposto potrebbe contribuire a comprendere le motivazioni che ostacolano la diffusione di queste pratiche e il perché non vanno di moda nei tempi moderni in cui non siamo più capaci e allenati ad usare il nostro “Intuito” per trovare il giusto “Bilanciamento” e la giusta via di mezzo. Cresciuti come siamo, immersi nella tecno cultura, razionale e scientifica che vuole tutto misurare e imprigionare entro schemi e regole, da un lato ci siamo abituati alle cose semplici, dall’altro siamo diventati inabili, incapaci di fare da soli.
Ed è qui che risiede il calo di motivazione ed entusiasmo. Soltanto ciò che ci permette di dar sfogo al nostro intuito e alla nostra creatività può generare entusiasmo.
(entusiasmo deriva dal grco antico ἐνθουσιασμός, enthusiasmós, a sua volta da ἐν, en (“in”) con theós (θεός, dio) e ousía (οὐσία, essenza). Letteralmente si potrebbe tradurre con “con Dio dentro di sé”, “invasamento divino”, o con l’espressione “essere posseduto dall’essenza di un dio”)
Utilizzare l’intuito significa anche in una certa misura entrare in uno stato meditativo in cui ci si lascia attraversare dalle informazioni che derivano dall’empatizzare con la vita che sta attorno.
Insomma coltivare seguendo una ricetta standardizzata con misure, dosi e pratiche meccanizzate, seppur può affascinare e attirare molti, non ha lo stesso potere appagante e coinvolgente di chi prende strade nuove ed inesplorate. Su questo aspetto e molto altro, scrive Franco Michieli, grande esploratore che ha viaggiato anche in luoghi remoti del pianeta in solitaria e senza alcun tipo di supporto tecnologico ne mappe o quant’altro. Egli racconta degli stati interiori che si “attivano” e della bellezza di tornare a “risvegliare” le nostre capacità innate. Nell’elenco finale trovate citati un paio di suoi testi. È noto che quando siamo impegnati con tutti i nostri sensi per risolvere problemi e trovare soluzioni da soli, sentiamo meno le fatiche e ci predisponiamo ad accogliere la gioia nelle nostre azioni.
Ho vissuto le stesse dinamiche nella pratica dell’intreccio di cesti. Da qualche anno ho iniziato a condividere le mie conoscenze e competenze in materia, organizzando ritiri prima di un giorno, adesso di almeno tre, in cui si impara a realizzare cesti con salici ed altri materiali naturali e grezzi. Come potete immaginare un ramo di un albero non è mai regolare ne perfettamente dritto ne perfettamente omogeneo nel diametro, ne i rami sono uguali tra di loro. Per questo motivo per metterli insieme a formare un cesto (a meno che qualcuno non faccia la selezione per te e ti fornisca un kit di montaggio con istruzioni tipo Ikea) bisogna imparare ad usare anche il cervello destro ed intuire, immaginare, bilanciare nelle scelte e nei posizionamenti.
Forse in virtù delle mie esperienze pregresse ero già allenato. Mi viene spontaneo, naturale e sopratutto è per me appagante, realizzare questo orto, che forse sarebbe più opportuno chiamare “ecosistema”, in un modo che pur in una sorta di abbandono, mi fa sentire vivo, creativo e attivo protagonista. Difatti ci sostituiamo agli alberi per chiudere l’anello ed apportare costante nutrimento al suolo.
Per molte persone fare questo tipo di lavoro richiede un certo sforzo, oltre che il cambio di abitudini e paradigmi. Dobbiamo allenarci. E serve in una certa misura desiderare di entrare in comunione con la vita intorno a noi.
6. ERBE SPONTANEE
Meritano un capitolo a sé stante, in quanto sono il cruccio di molti che le temono (spesso giustamente) per la loro capacità di prendere il sopravvento nei nostri orti. Rispetto agli ortaggi domesticati dall’uomo, sono mediamente molto molto più rustiche, sanno cavarsela in condizioni estreme e quindi nella competizione per la luce (vedi capitolo specifico) possono lasciare indietro quelle tontolone di piante domestiche.
In un approccio naturale, quelle che molti chiamano ingiustamente infestanti o malerbe diventano, invece nostre grandi alleate e non solo per il fieno che forniscono:
- Nell’orto è sempre meglio non estirparle ma piegarle e poi sommergerle/soffocarle con la pacciamatura. Senza poter accedere alla luce e quindi senza fotosintesi andranno lentamente a morire, tenteranno di ripartire con le loro riserve di nutrimento accumulate nelle radici, ma dopo qualche tentativo andranno ad esaurirle e la parte aerea essiccata sarà altra pacciamatura mentre le radici andranno a nutrire il suolo oltre che a lasciare buchi di aria importanti per contribuire ai processi di trasformazione e miglioramento della fertilità.
- Le erbe spontanee che troviamo nel campo quando iniziamo a pacciamare per la prima volta sono spesso molto forti e tenaci ma non appena le copriamo si indeboliscono/“ingentiliscono” di molto. Cosi comeun albero capitozzato deve in fretta ricreare la sua chioma per non perire. Esattamente allo stesso modo il terreno deve, con quanta più velocità e “violenza” possibile esprimere dalla sa superficie delle piante spontanee per coprirsi, fotosintetizzare ed autopacciamarsi, evitando la disidratazione/desertificazione)
- Dalla pacciamatura usciranno soltanto una piccola parte delle spontanee sottostanti; nei primi mesi dall’avvio avranno ancora le radici nel terreno originario. Vedendole spuntare nel nostro orto possiamo fare tre cose:
- tagliarle e lasciale lì a pacciamare, come la pulizia degli ortaggi che raccogliamo.
- piegarle e coprirle con altra paglia o rimetterle sotto a quella gia presente
- estirparle (pratica sconsigliata e da valutare soltanto per piante molto invasive tipo gramigna o convolvolo)
Ho paragonato la terra lavorata e denudata alla capitozzatura, tematica che viene molto sviscerata ed approfondita nei nostri oramai famosi Corsi di Potatura e Gestione dell’Olivo. Annualmente da ormai 18 anni vengono tenuti qui a Cerveteri grazie alla generosa trasmissione di conoscenze da parte del nostro carissimo dottore forestale Carlo Mascioli, che ringrazio anche per il contributo ad arricchire il presente testo. Le sue lezioni hanno il potere di aprire le nostre menti ad uno sguardo totalmente diverso nei confronti degli alberi e della natura. Sono pertanto consigliatissime (https://www.liberapolis.it/corsi-di-potatura-ulivo/)
Ma vorrei aggiungere che non tutti gli alberi reagiscono alla capitozzatura nello stesso modo: c’è sempre un punto di non ritorno che divide la vita dalla morte, alcuni alberi non sopportano questa pratica e muoiono quasi subito, altri come gli ulivi ci permettono anche di maltrattarli ed asportare loro tutta la chioma più volte nella loro vita ed ogni volta con pazienza e vitalità tentano di ricostruirla per fare fotosintesi e nutrirsi.
7. IRRIGAZIONE
Da quanto detto avrete intuito che essendo l’humus molto, molto meno soggetto ai problemi di calpestio non è necessario (anzi a mio avviso è sconsigliato) riservare delle zone al solo transito ed altre alla sola piantumazione come si fa con tanta premura nell’orto sinergico. Anzi, nel periodo estivo/secco ho potuto sperimentare come sia particolarmente vantaggioso impiantare ortaggi proprio negli eventuali avvallamenti tra i bancali, doveristagna maggiore umidità. Personalmente non consiglio ne sconsiglio i bancali ma sto cercando di fornire degli strumenti per fare le scelte migliori per realizzare ognuno i propri obbiettivi! Lo ripeto, prima di agire dobbiamo sempre fare uno sforzo per mettere a fuoco dove vorremmo andare, in quanto tempo e con quali risorse disponibili. Solo dopo potremo ipotizzare il sistema o la via migliore per realizzare il nostro specifico e personale progetto. Anche questo aspetto è di fondamentale importanza, non dimentichiamolo mai. Se ad esempio si intende utilizzare i bancali rialzati in inverno per colture che soffrono i ristagni idrici, specie in terreni argillosi non drenanti, questa può essere di certo una buona soluzione, anche se oramai sapete ed avete compreso che sarà più difficile far partire sopra un bancale rialzato il ciclo di digestione della materia organica che esposta ai venti tenderà a scivolare in basso e il bancale tenderà ad disidratarsi in fretta.
Tornando all’utilizzo opposto degli avvallamenti/camminatoi dei bancali per impiantare invece sfruttando il ristagno, vorrei specificare che questa soluzione è ovviamente valida solo nel caso in cui la pacciamatura sia stata distribuita uniformemente dappertutto. Questo è importante farlo a prescindere dal piantare o meno qualcosa nelle zone di transito/passaggio. Dobbiamo farlo, pacciamare il 100% della superficie dell’orto, perché, mi sono reso conto che pacciamare piccole aree come potrebbe essere una striscia di 50 cm ma anche un metro, significherebbe fare sempre effetto “Vaso” o “Effetto Bancale” ovvero non riuscire a raggiungere una massa critica minima di terreno umido distante da aree esposte alla disidratazione sufficiente a fare la differenza. Ovvio che un conto e’ un lieve bancale con un dislivello graduale di 10 cm., altro conto un bancale di 1 metro di altezza con discesa molto ripida. Insomma dobbiamo imparare a ragionare e contestualizzare sempre il tutto alla realtà che abbiamo di fronte a noi. Altrettanto importante sto osservando essere il non far mai disidratare completamente il terreno.
Specifico, e in questo ho trovato corrispondenza con le indicazioni di altri autori, circa la non necessità di dedicare energie e sforzi alle consociazioni o progettazioni di particolari schemi e forme. Se lavoriamo bene per far rigenerare humus non avremo mai problemi di scarsità di elementi nel suolo; nell’humus possiamo piantare anche lo stesso ortaggio per anni nello stesso punto senza problemi di carenze. Piuttosto è ben concentrare tutte le nostre energie nel ricreare una condizione humica e quindi di abbondanza nei nostri suoli.
Secondo la mia esperienza risulta molto conveniente cercare di mantenere il terreno sotto la pacciamatura costantemente umido; non soltanto nelle immediate vicinanze delle nostre piantine, ma dappertutto.
Sappiamo che l’acqua è fonte di vita, i lombrichi, i funghi e tutti gli altri esserini che cooperano alla riuscita del nostro progetto di orto naturale saranno sempre con noi soltanto a patto che ci sia costantemente umidità. Questo è facile garantirlo fintanto che la pioggia, anche poca, ci aiuta, ma quando vogliamo produrre in estate dobbiamo impegnarci di più:
- Con le integrazioni idriche
- Aumentando lo spessore dello strato pacciamante
La certezza che sia possibile arrivare a non innaffiare mai l’orto anche in piena estate l’ho avuta quando casualmente sono andato a prelevare del buon terriccio humico sotto ad un grande cumulo di paglia e letame accumulato circa due anni prima. Era pieno agosto, caldissimo, tutto secco, la terra intorno con crepe di due centimetri per l’aridità, non pioveva da almeno un paio di mesi. Con mia grande gioia e stupore lì sotto ho trovato tanti lombrichi al lavoro e terra molto ,molto umida!
Attualmente irrigo, dove e quando serve e quindi non più di una o due volte a settimana, a mano con innaffiatoio da 10-15 litri (a volte riempito dalla pompa manuale sopra al pozzo) o con il tubo di gomma. Bagnare il terreno con il tubo offre la possibilità di impregnarlo davvero bene e lasciar penetrare l’acqua in profondità con il vantaggio che l’umido durerà molto più a lungo. Se so che mancherò per dieci o più giorni mi basta irrigare a fondo prima di partire e magari potenziare un tantino la pacciamatura. Se abbiamo osservato e toccato ogni giorno il nostro terreno per vedere come lavora e reagisce, possiamo dormire sonni tranquilli in vacanza!
La quantità giusta di acqua è un altro aspetto molto importante che fa la differenza tra il proseguire o gettare la spugna scoraggiati. Se su un terreno completamente arido e magari anche totalmente privo di humus, andiamo a pacciamarlo bene e poi, credendo di irrigare versiamo troppa poca acqua, (ad esempio un litro vicino alla nostra piantina) seppur ben pacciamata, rischiamo che in molti casi il litro di acqua non sia servito quasi a niente. Ogni terreno è ovviamente diverso e bisogna prendere l’abitudine di toccare costantemente con le mani, inserendo le dita qualche centimetro in profondità, sotto la pacciamatura ed andare a sentire se abbiamo davvero inumidito i primi centimetri di suolo. In un terreno come il mio, in una situazione come quella appena descritta, il litro di acqua se ne andrebbe in un attimo andato via in profondità, tra le crepe del terreno, senza ottenere alcun risultato. Occhio quindi! Non è detto che si abbia sempre a che fare con terreni del genere, ma in ogni caso bisognerà sempre puntare a ripristinare lo strato humus che non farà crepe, e quando si bagna bisogna bagnare a fondo. Se non si ha disponibilità cospicua di acqua tale da poter lasciare un tubo o uno schizzetto a bagnare il suolo anche per mezz’ora intera, bisogna aspettare che il terreno venga bagnato dalle piogge naturali, e coprirlo poi con la pacciamatura ponendosi l’obiettivo di non farlo mai disidratare completamente. All’inizio ci vorranno un po più di attenzione e cure, ma poi andrà sempre meglio. Ripeto, dobbiamo dare il tempo alla vita del suolo di ricreare lo strato fertile ed alla catena biologica di mettersi in moto. Una volta che si sarà ricreato lo strato di Humus, questo avrà’ la capacita di trattenere l’umidità molto molto più a lungo della terra inerte. A questo punto andare nell’orto a irrigare una volta ogni tanto per dare un aiutino sarà un piacere.
Soprattutto per chi utilizza acqua di pozzo come me, è fondamentale evitare di irrigare il terreno la sera. È ottimale farlo la mattina all’alba!
A causa dell’effetto che i vecchi contadini chiamavano la “calla-fredda” andremo a stimolare una proliferazione eccessiva di funghi che possono causare marciume. La sera il terreno è ancora caldo per il sole preso durante il giorno ed il contrasto con l’acqua fredda non va bene. Oltretutto le acque di pozzo scrive il saggio Ippolito Pizzetti, sono di solito troppo ricche di sostanze minerali e povere di ossigeno. Meglio sarebbe darle il tempo di scaldarsi prima di essere utilizzate per l’irrigazione. E dove possibile, da valutare di irrigare con acqua di lago, piovana o di fiume.
Anche in questo caso posso testimoniare quanto sia vero ciò; proprio poche settimane fa mi è successo che ho irrigato l’orto a spruzzo per sole 2-3 sere di seguito in giugno e dopo una settimana improvvisamente alcune piante di insalate hanno cominciato ad afflosciarsi… il primo sospetto è andato sul povero grillotalpa, ma osservando bene ho visto che erano completamente marce e punteggiate di filamenti fungini dal colletto in giù. Ho stimolato i famosi funghi parassiti e stavolta spero di aver imparato la lezione. Sono contento di aver fatto questa esperienza ed aver toccato con mano quella che altrimenti sarebbe rimasta solo teoria radicata stabilmente nelle conoscenze reali. La differenza è sostanziale in quanto nel caso di nozioni non sperimentate in prima persona reste quasi sempre una componente di dubbio (conscio o inconscio) del tipo: “sarà vero o non sarà vero?”. D’altronde su questo fenomeno “culturale” dobbiamo riflettere; sono stato tentato anche io a spegnere il cervello come la maggior parte delle persone che frequentano il loro orto o giardino di casa verso il tramonto dopo una stancante giornata, spesso per trovare relax e ristorante tranquillità. Bisogna essere molto attenti e imparare che si può rimanere vigili seppur rilassati, di modo da non fare errori banali come questi raccontandoci frasi come: “che sarà mai un po d’acqua!” Ogni nostro piccolo gesto porta delle conseguenze. Abbandonarsi e lasciarsi trasportare si, ma da un lucido intuito piuttosto che da pigrizia o stoltezza.
Questo può farci riflettere su come un certo approccio all’agricoltura non si sposa con lo stile di vita moderno in cui dall’avvento dell’elettricità in poi si sono spostate sempre più la vita e le ore di veglia nella fascia serale a discapito delle primissime ore del mattino. Prima dell’elettricità non aveva senso rimanere svegli a consumare candele.
Personalmente non ostante l’incidente di cui sopra, sono anni che, per il piacere di riconnettermi con dei ritmi naturali ho iniziato ad alzarmi spontaneamente poco prima dell’alba e ad andare a dormire prestissimo, in questo processo credo che abbia contributo non solo il vivere in campagna ma il non aver mai avuto una televisione da quando ho lasciato la mia casa familiare circa venti anni fa. Le prime ore del giorno sono momenti bellissimi, come il tramonto ma molto diversi anche per il fatto che arrivano dopo la nottata di riposo ristorante che, specie nel periodo estivo di calura sono il momento migliore per dedicarsi ai lavori manuali. Inoltre è molto salutare fare un po di attività fisica al mattino per far partire bene la nostra macchina corporea.
8. FOTOSINTESI CLOROFILLIANA e la ruota della vita
Tutta la vita sul pianeta è basata sulle molecole di carbonio reso disponibile nel ciclo dei viventi dalla fotosintesi ad opera delle piante sia terrestri che acquatiche.
Le piante e gli alberi si chiamano organismi Autotrofi in quanto si nutrono di luce solare attraverso una reazione chimica chiamata Fotosintesi Clorofilliana.
Ma come funziona?
Dalla luce del sole, le piante, principalmente attraverso le foglie, catturano l’energia solare e con essa trasformano la CO2 (anidride carbonica) presa dall’atmosfera che, unita con la linfa grezza composta di acqua e sali presi dal terreno, diventano glucosio ed ossigeno. Tramite il glucosio le piante fissano il carbonio nella loro componente legnosa, vale a dire che il legno è costituito in gran parte (circa la metà) di carbonio: l’ossigeno di troppo nella reazione chimica, viene rilasciato in atmosfera. Di questo ne beneficiamo tutti, uomo compreso.
EQUAZIONE COMPLESSIVA BILANCIATA:
6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2
La vita sulla terra è basata sulla fotosintesi e senza piante, alberi e alghe fotosintetizzatrici non ci sarebbe la vita, perlomeno cosi come la conosciamo. Le piante rappresentano 83% circa della biomassa terrestre e da esse dipendono tutti gli altri esseri viventi sia micro (si pensi a quelli che animano il suolo e che creano la fertilità humica), sia macro (elefanti – balene ecc.) essendo tutti Eterotrofi, hanno bisogno di “mangiare/digerire” sostanza organica contenente il carbonio fissato dalle piante. Ma nonostante esse utilizzino in autonomia la luce del sole per nutrirsi, hanno bisogno a loro volta di affondare le radici nell’humus, animato da tutti gli esseri viventi che abbiamo più volte citati. È sempre una catena, un ciclo, una ruota senza fine che perpetua il gioco della vita. Come possiamo pensare noi uomini di tirarcene fuori?
Ma questi argomenti sono importanti anche per capire che la capacità di sopportazione della terra ha un limite: la mia terra sembra paziente come un ulivo capitozzato, perché ogni volta si rimette in moto e riparte, ma ad un certo punto, qui o altrove potrebbe dire: “Basta! “Non cela faccio più!” potrebbe dire, lasciarsi morire, e desertificare! Se ci si pensa un secondo, i deserti sono l’unico luogo della terra dove quest’ultima è nuda allo stato naturale.
Chiediamoci: cosa vogliamo creare in un orto? vita e splendore o deserto?
La reazione chimica fotosintetica ci fa anche comprendere come le piante siano all’interno di un ecosistema dal quale prendono e danno come tutti gli altri elementi, e non dobbiamo dimenticare che a noi danno anche ossigeno oltre che compagnia, nutrimento, legname, fitofarmaci, ombra, riparo dalla calura, bellezza e tanto altro.
9. I FUNGHI
Anche in questo caso emerge la necessità di chiarimenti e riflessioni molto importanti. Dovreste già saperlo, i funghi non sono né piante né animali, ma appartengono ad un regno a se stante e che il “fungo” che noi osserviamo ed a volte raccogliamo e mangiamo è soltanto il carpoforo del fungo ovvero il suo “frutto” o meglio organo riproduttivo prodotto per diffondere spore nell’ambiente. Il fungo vero e proprio è sotto terra e sarebbe il micelio, fatto di filamenti, le ife, che a volte affiorano anche in superficie o sono visibili tra la materia organica in decomposizione. Anche i funghi come gli animali sono Eterotrofi, e quindi hanno bisogno di nutrirsi di qualcosa che ha prima accumulato l’energia del sole presa con la fotosintesi.
Esistono tre categorie di funghi che è importante conoscere:
- Saprofiti specializzati nel digerire/degradare la materia organica). A questa categoria appartengono anche i funghi Lignivori (ovvero che degradano e “mangiano” il legno)
- Simbionti / Micorrizici (che si alleano con le piante creando uno scambio simbiotico a livello dell’apparato radicale in cui danno alcune cose e ne ricevono altre)
- Parassiti quei funghi che si nutrono di organismi viventi, portandoli a volte gradatamente a morte. In natura essi operano la selezione dei più forti.
Già da questo dovremmo iniziare a capire quanto tutte e tre le categorie siano importanti nell’ecosistema e al fine di rendere la materia organica bio-disponibile per il suolo e chi lo abita.
Ma i funghi svolgono anche tante altre funzioni, importanti e fondamentali, sono un mondo nascosto in parte ancora in fase di studio e ricerca. La loro presenza armonica nel suolo aiuta a prevenire molte malattie e disturbi delle piante, agendo come antagonisti dei patogeni, aumentano la biodiversità microbica del terreno, fornendo una difesa naturale per le colture, che non si limita al sottosuolo ma si estende anche alle parti aeree delle piante.
Importante da evidenziare in questa sede il ruolo delle micorrize, che svolgono una protezione ed estensione delle radici, capaci di “potenziare” il prelievo di acqua ed altre sostanze utili alle piante che in cambio forniscono ai funghi alcuni prodotti derivati dalla fotosintesi di cui non possono fare a meno.
Di solito osserviamo ogni fattore come a se stante piuttosto che inserito in un contesto globale. È necessario smettere di combattere in continuazione sintomi su sintomi, anziché tentare di comprendere e curare a monte le cause dei problemi.
In questa ottica permettere un sano insediamento e proliferazione di funghi nel nostro orto è assolutamente indispensabile.
Curiosità
Lo sapevi che l’organismo vivente più grande al mondo è un fungo? Si tratta di un armillaria che si estende ovviamente sottoterra per 880 ettari in un Parco Nazionale dell’Oregon negli Stati Uniti.
10. Importanti nozioni di Storia dell’Agricoltura
Le forme di agricoltura senza lavorazione del suolo e con la copertura dello stesso sono le uniche che con tutto il cuore mi sento di poter promuovere e sostenere come tappe verso una transizione in direzione di un nuovo equilibrio tra noi ed il pianeta. Ovviamente tutto ciò passa dal mettere in discussione, ognuno per sé, il proprio stile di vita e riflettere seriamente sui nostri reali bisogni.
È un percorso personale ed ognuno deve percorrerlo a tappe senza sbalzi smisurati. Abbiamo la fortuna di conoscere gli stili di vita dei pochi popoli non agricoli che tuttora esistono o esistevano fino a pochi decenni fa sul pianeta e potremmo da loro imparare molto; sappiamo che sono stili di vita integrati negli ecosistemi, che producono molta gioia di vivere tra i loro abitanti. Questi stili di vita sono simili a quello che si è adottato sul pianeta terra dalla totalità degli uomini per il 99,9% della storia presunta su questo pianeta. Con ogni probabilità in tutto il paleolitico fino a circa 15.000 anni fa, quando sono sorte le prime civiltà agricole.
Si tenga bene a mente che l’agricoltura non è iniziata perché l’uomo l’ha “inventata”, sappiamo con certezza ormai che non è così. Ad un certo punto alcuni gruppi umani semplicemente e gradualmente hanno preso questa strada, ma tutti gli umani avevano già osservato che facendo cadere il seme, come quelli della frutta che mangiavano, di conseguenza nasceva la pianta, non serviva una laurea in agraria per capirlo, e il capirlo non porta necessariamente all’agricoltura. Lo dimostra anche il fatto a tutt’oggi alcune popolazioni hanno resistito nel loro stile di vita di raccoglitori/cacciatori pur essendo circondati di agricoltori. Alcuni di loro intervistati dagli antropologi alla domanda sul perché non iniziassero anche loro a coltivare la terra, sapete cosa hanno risposto: “Perché dovremmo farlo finché cresce cosi tanta frutta spontanea?” E’ sotto i loro occhi come i vicini agricoltori “si fanno il mazzo” spesso per ottoore o più di lavoro al giorno, quando è ormai risaputo dagli studi antropologici che i raccoglitori cacciatori dedicano mediamente non più di tre ore al giorno per procurarsi tutto il necessario per vivere ed il resto del tempo vivono riposando, massaggiandosi a vicenda, giocando, ballando e cantando.
Nella scuola pubblica purtroppo non ci insegnano nemmeno le altre ovvie conseguenze dell’agricoltura, quindi ciò che comporta il passaggio dal paleolitico al neolitico. Viene fatto intendere solamente come il momento in cui l’uomo “primitivo”, “arretrato”, “sottosviluppato” finalmente fa un passo verso la “civilizzazione”, con l’attribuzione di connotati positivi alla nuova era e negativi all’era precedente l’agricoltura,
Si cela così la ovvia e palese realtà di quello che consegue la “nascita” dell’agricoltura, dal neolitico in poi, ovvero:
- La nascita della proprietà privata
- Guerre per il dominio dei terreni
- La nascita della coercizione (sottomissione e obbligo a pagare tasse) e della schiavitù
- La creazione della classe sociale dei dominanti che vivevano senza far nulla in opposizione alla plebe costretta a lavorare e produrre cibo anche per gli altri.
- Deforestazione/desertificazione
- Stile alimentare più povero ma adatto ad un aumento vertiginoso della popolazione stanziale con conseguenze nefaste (da tener presente che una coppia di umani nomade non faceva un figlio successivo se non prima che quello precedente fosse in grado di camminare da solo negli spostamenti poiché la mamma poteva portarne solo uno in braccio, quindi non meno di tre anni tra un figlio e l’altro.
- Sfruttamento Animale
- Colonizzazione
- Misoginia e sfruttamento della donna (parallelismo con l’elemento terra femminile)
- Denutrizione, Malattie, Pestilenze (contrariamente a quanto ci raccontano, gli studi fanno evincere come nel paleolitico si poteva perire più facilmente per incidenti non essendoci la medicina d’urgenza che oggi abbiamo a disposizione ma non per malattie. Le pestilenze, un po come le malattie degli orti sono la conseguenza di uno squilibrio a monte, spesso conseguenza delle mono-colture che riducono la biodiversità cosi l’agricoltura ha portato anche ad una mono-coltura di uomini, tanti in poco spazio, soggetta ad ammalarsi)
L’elenco potrebbe allungarsi molto ma non è questa la sede per farlo.
Tutto ciò non ci viene narrato nei canali “mainstream” probabilmente perché potrebbe far crollare totalmente le basi su cui poggia tutta la società moderna. Bisognerebbe mettersi in discussione troppo radicalmente e questo spaventa i più che non mirano affatto al bene, bensì al potere, ai profitti, o semplicemente alla distrazione ed allo sballo.
Aggiungo per completezza che i raccoglitori del passato rispetto agli agricoltori successivi, per lo più vivevano in piccoli gruppi di un centinaio di individui in cui emergevano delle leadership naturali in base alle abilità soggettive; si era felici di seguire le indicazioni del più bravo a cacciare come si era felici di cooperare perché maggiore era la cooperazione, meno si faticava tutti quanti. Ma se proprio a qualcuno non piaceva il proprio gruppo o il leader di riferimento, era libero di andarsene per la sua strada e di farsi il suo gruppo. C’erano vasti territori per un numero di uomini sostenibile. Oggi siamo sulla terra quasi 8 miliardi e le risorse selvatiche non sarebbero più in grado di sostenere uno stile di vita da nomadi raccoglitori cacciatori. Questo non toglie che potremmo iniziare a prendere spunti per un percorso di decrescita e stili di vita più semplici ed integrati nell’ecosistema.
11. IL BILANCIO ENERGETICO
Tra un orto pacciamato senza lavorazione del suolo ed un orto con lavorazioni e impianti di irrigazione.
Difficile essere esatti nelle cifre, quel che posso testimoniare e portare come riflessione è quanto segue:
- Nel conteggio dello sforzo e del dispendio energetico per arrivare a produrre con orto tradizionale dobbiamo mettere in conto non solo il tempo che dedichiamo noi “operatori” umani ma anche il costo economico ed energetico dei mezzi meccanici (trattori o motozappe in primis), del carburante necessario a farli funzionare, e della costruzione di ricoveri per proteggerli dalle intemperie e/o dai furti; il costo di tubi, pompe, centraline, concimi e sopratutto le manutenzioni di tutte le componenti meccaniche che non sono roba da poco.
- Aggiungerei che le ore di lavoro trascorse nell’orto con il rumore e/o le vibrazioni delle macchine agricole perdono gran parte della loro poesia e riducono drasticamente la qualità del tempo trascorso in campagna quindi pesano di più di quelle trascorse nella quiete.
- Senza contare ovviamente la deprivazione di inventiva, creatività ed intuizioni dovute all’applicazione da manuale dei protocolli di concimazione, lavorazione o utilizzo delle macchine.
- Un vantaggio dell’orto con lavorazioni del suolo è quello di permettere un utilizzo immediato e massimamente produttivo del terreno. D’altro canto, devo osservare che contrariamente a quanto si sostiene in altre trattazioni, nelle istruzioni per avviare un orto senza lavorazione, il tempo necessario ad avere dei buoni risultati produttivi può essere molto lungo e questo dipende dalle condizioni di partenza del suolo, dalla qualità della pacciamatura e dalla maestria nella stesura della stessa, unitamente al fatto di essere riusciti o meno ad averlo mantenuto sempre umido per facilitare la permanenza dei lombrichi & co. all’opera. Quindi mi sento di poter affermare che una lieve lavorazione iniziale “una tantum” possa essere un compromesso sui terreni molto molto compatti come ad esempio gli ex pascoli intensivi
- L’orto rispettoso della terra necessita forse di un certo numero di ore su campo e di una presenza un pochino più costante, ma se si pensa a quanto altro si è risparmiato, il bilancio energetico ed economico è probabilmente molto in attivo. (uso il termine “probabilmente” in quanto le variabili in gioco sono molte ed il peso che diamo ad ognuna di esse è in gran parte soggettivo ed aleatorio)
- La riflessione è dunque molto amplia e capire quale sia la strada migliore per ognuno di noi richiede essere connessi con chiarezza ai propri bisogni profondi, aver molto chiari gli obiettivi e mettere tra questi anche la qualità della vita, nostra e di tutti gli esseri viventi che partecipano al ciclo biologico dell’orto.
- È necessario avere il coraggio di mettere in discussione quello che pensa la massa di persone educate a pensare e ripetere che le macchine moderne rappresentano il “progresso” dell’umanità. Ma quale progresso!!!??? Ho già raccontato in altro articolo di una scena cui ho assistito in India tanti anni fa restandone incantato e completamente rapito per la sua inaudita bellezza: un campo coltivato in piena campagna dove tre contadine vestite di bellissimi teli colorati, raccoglievano riso muovendosi perfettamente sincronizzate e cantando. Non potevo smettere di osservare la loro bellezza, non avevo mai visto nulla di tanto bello. Cosa stavano facendo? Lavoro? Arte? Gioco? Ci sono cose, tutte le cose più importanti della vita, che non possono essere descritte con le parole, è necessario esperirle direttamente. Quella scena per me è stata di una bellezza folgorante, ma vi chiedo di riflettere: sarebbe stato lo stesso se al loro posto ci fosse stato un trattore? Che emozioni avrei provato nell’osservare la scena? e per loro, le contadine? per la terra e tutti gli esseri che la abitano sarebbe stato meglio lavorarla con il trattore? È questo che chiamiamo progresso? Lasciare uomini e donne senza un ruolo e un posto nella vita, a mendicare, delinquere, ubriacarsi e drogarsi in giro per il pianeta e sostituirli con le macchine? Toglierci il gusto di essere anche noi un anello della catena biologica e poterci sentire più facilmente parte del tutto? Quello di alcune tradizioni dell’India ed altri paesi orientali limitrofi rappresenta uno scorcio dei rari esempi di civiltà agricole che hanno tentato di armonizzarsi nel contesto naturale.
Non riesco a capire come si possa chiamare tutto ciò con il termine “progresso”! Sempre più spesso e con sempre maggiore frequenza l’indottrinamento scolastico ed il lavaggio del cervello operato dalla propaganda mediatica, ci abituano ad utilizzano parole e vocaboli per definire l’opposto del loro significato reale e sottostante. Ma anche su questo si potrebbero scrive altri libri e non è questa la sede per approfondire, fatelo voi se siete interessati.
12. Altre CURIOSITÀ
- Lo sapevi che le foreste nel mondo stanno calando di giorno in giorno, ma in Italia al contrario sono in forte aumento grazie all’abbandono dei terreni agricoli a favore delle importazioni?
- Lo sai che l’Italia (il paese della pasta) produce solo un terzo del grano che consuma?
- Sapevi che la maggior parte dell’ossigeno che noi respiriamo, il 70-80% deriva dalla fotosintesi delle alghe presenti nei primi 200 metri di fondale oceanico?
- Lo sapevi che la deforestazione paradossalmente ha avuto una forte battuta di arresto dall’avvento dell’era del petrolio?
- E che già all’epoca dei Romani l’imperatore Adriano dovette istituire delle riserve di protezione del cedro del Libano che stava per estinguersi a causa del forte sfruttamento già in corso da secoli (specie per la costruzione di navi)?
- Sai che una ferriera medievale per produrre utensili in ferro che doveva essere fuso bruciava più di 100 ettari di bosco all’anno (oltre all’energia idraulica dei corsi di acqua) e che soltanto qui nei nostri colli Caeriti ne erano in funzione 3 o 4?
Queste cose dovrebbero contribuire a far riflette sul fatto che i problemi ambientali e sociali di cui oggi siamo eredi non nascono negli ultimi decenni ne negli ultimi secoli come ci vorrebbero far credere, ma iniziano quando inizia l’agricoltura. L’agricoltura si sviluppa per lo più in forma predatoria, ad opera di uomini che uscirono da un equilibrio armonico e cooperativo nell’ecosistema e iniziarono invece a sfruttare altri uomini, piante, animali e terra, allo scopo di accumulare potere e ricchezza materiale.
Noi tutti siamo eredi di questa storia e lottiamo dentro di noi tra quello che ci insegna la società e la direzione in cui vorrebbe portarci il cuore. Non dobbiamo temere di sentirci strani o sbagliati nel dare corso a scelte contro corrente se in fondo sentiamo che sono la cosa giusta da fare, quella che porta entusiasmo, che a me ad esempio ha ridato la gioia ed il piacere di coltivare.
E cosi, un po come le frecce di Eugen Herrigel ne “Lo zen ed il tiro con l’arco”, arrivano a “tirarsi da sole”, potremmo scoprire un giorno che anche i nostri cesti o il nostro orto, “si stanno creando da soli”, correndo il rischio però che nel prenderne consapevolezza spezzeremmo l’incantesimo. Non ci identificheremo nell’autore delle nostre azioni e pertanto non ci resterà che inginocchiarci sulla terra e ringraziare, con Humilitas, rispetto e gratitudine.
Grazie anche a te, lettore, che sei giunto fino in fondo. Spero che questo testo ti abbia arricchito.
Cerveteri, 6 luglio 2024
Simone Itri
simone.itri@credo.it
Note a margine.
Un grande ringraziamento a Sergio, Amparo, Caterina, Antonio e Luisa per l’aiuto nella revisione.
Con questo testo spero di aver dato un contributo aggiuntivo e rispondere perlomeno ad una parte delle domande che sorgono spontanee in chi si mette al lavoro. Ringrazio tutti i movimenti, gli uomini e le donne che contribuiscono a divulgare l’importanza dell’humus e della pacciamatura. E’ bello così, ognuno con la propria diversità, augurandomi che le azioni in tal senso siano sempre più dettate da un sincero ed impersonale anelito al bene comune, piuttosto che mosse da desiderio di visibilità, fama e lodi. Tutti insieme dobbiamo continuare a preservare il suolo e quindi noi stessi, anche e soprattutto dagli inquinanti moderni come le micro-plastiche e tutti i veleni chimici. Un augurio a che ognuno possa trovare la propria strada nel cammino della vita, coltivando bellezza in comunione e armonia con la vita intorno a noi.
Bibliografia – Testi Consigliati
AGRICOLTURA NATURALE
Masanobu Fukuoka, La rivoluzione del filo di paglia, LEF Ed.
Sir. Albert Howard, I diritti della terra, alle radici dell’agricoltura naturale, Slow Food Editore
Gian Carlo Cappello, La Civiltà dell’Orto, La Coltivazione Elementare, Ed. L’età dell’acquario
Ehrenfried Pfeiffer, La fertilità della terra, Editrice Antroposofica Milano
Matteo Mancini, Agricoltura organica e rigenerativa, Terra Nuova Ed.
Cristina Menta, Guida alla conoscenza della biologia e dell’ecologia del suolo.
PIANTE
Stefano Mancuso, Alessandra Viola, Verde Brillante, Giunti Ed.
Ippolito Pizzetti, Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, Garzanti Ed.
CIPPATO
Jacky Dupety, Bernard Bertrand, L’orto senz’acqua, Coltivare bio con il cippato per risparmiare acqua, petrolio e lavoro. Terra nuova edizioni
Sylvain Coquet, Coltivare col cippato, Libreria Editrice Fiorentina
FUNGHI
Merlin Sheldrake, L’ordine nascosto, Universale economica Feltrinelli
STORIA AGRICOLTURA E NON SOLO
Edward H Faulkner, Plowman’s Folly, Oklahoma (solo in inglese “La follia dell’uomo che ara”)
John Zerzan, Primitivo Attuale, Stampa Alternativa
John Zerzan – Enrico Manicardi, Nostra nemica civiltà, Mimesis Ed.
John Zerzan, Il Crepuscolo delle macchine, Nautilius Editore
Enrico Manicardi, Liberi dalla civiltà, Mimesis Ed.
Enrico Manicardi, L’ultima era, Mimesis Ed.
Jim Mason, Un mondo sbagliato, Storia della distruzione della natura, degli animali dell’umanità, Sonda Ed.
Theodore John Kaczynski, La società industriale ed il suo futuro, NYT
Paul Sherpard, Natura e Follia, Edizioni degli animali
FEDE E INTUITO, CONTATTO CON LA NATURA
Franco Michieli, Andare per silenzi, Sperling & Kupfer
Henry David Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi
Giuseppe Gorlani, Uomo e Naura, La finestra editrice
Eugen Herrigel, Lo zen ed il tiro con l’arco, Adelphi
LIBRI PER BAMBINI
Dr. Seuss, Il Lorax, Giunti Ed.