Dimmi come Raccogli le Olive e ti dirò chi sei!

Scarica da qui articolo in pdf

La mia storia con gli ulivi inizia nel 2001, dopo la morte di mio padre. Mi trovai di fronte a una domanda: come continuare a prendermi cura degli alberi che lui stesso aveva piantato? Aveva messo a dimora una fila di giovani ulivi, lasciandone altri ancora da piantare. Così, insieme a mia madre, completammo il lavoro. Ma poi? Gli alberelli iniziarono a crescere e presto divenne chiaro che avrebbero avuto bisogno di essere potati.

Qui sorse il primo dilemma. La saggezza popolare suggerisce spesso regole semplici e rigide: “Fai un vaso, vuota il centro, leva tutti i succhioni!” Molti potatori seguono queste istruzioni per anni senza mai metterle in discussione. Ma io volevo capire davvero cosa stessi facendo. Fin da ragazzo, nel rapporto con mio padre, lo scontro era sempre lo stesso: mi diceva cosa fare, ma senza spiegarmi il perché. Io, invece, volevo una risposta, un senso, una consapevolezza nelle mie azioni.

Qualche anno dopo la messa a dimora degli ulivi, tornai da un lungo viaggio in India. Sei mesi in solitaria, barba e capelli lunghi, un’esperienza che mi aveva trasformato. Al ritorno, con alcuni amici fondai un’associazione culturale. Avevo un’idea fissa: volevo frequentare un corso sulla potatura e la gestione dell’oliveto. Ma nella mia zona non se ne trovavano. Così decisi di organizzarne uno io.

Per farlo, chiesi aiuto a Daniele, un amico arboricoltore e tree-climber. Grazie a lui e al passaparola conoscemmo Carlo Mascioli e altri esperti, che diventarono i primi insegnanti e oggi grandi amici del nostro corso di Potatura e Gestione dell’Oliveto. Quel corso, nato quasi per caso, oggi è una realtà consolidata: da 18 anni si tiene ogni anno a Cerveteri, con la stessa passione e lo stesso entusiasmo delle origini.

👉 Corso di Potatura e Gestione dell’Oliveto – Cerveteri

Dimmi come raccogli le olive e ti dirò chi sei!

Questa breve premessa per raccontare come è nato il mio rapporto con la pianta, l’olivo, che va avanti da oramai più di venti anni. In questi giorni siamo nel pieno della raccolta delle olive 2022 e, mentre ero arrampicato in mezzo ai rami degli alberi, ho sentito il desiderio di condividere alcune riflessioni per raccontare come un’attività apparentemente ingenua e materiale come questa possa affiancarsi in realtà a un percorso di crescita interiore.


Il dilemma dello scuotitore

Aggiungo anche che pochi giorni fa, nel gruppo WhatsApp degli allievi che hanno frequentato il nostro corso di potatura, uno di loro ha chiesto informazioni e suggerimenti per acquistare un buon modello di scuotitore per la raccolta delle olive. Ho risposto velocemente con un messaggio che, pur nel rispetto di chi sceglie la via e gli indubbi vantaggi materiali dello scuotitore, elencava anche i vantaggi della raccolta a mano, ma qualcosa dentro di me mi diceva che quella spiegazione con un messaggio nel gruppo era troppo poco esaustiva.


Osservare se stessi attraverso la raccolta

Per questo motivo mi trovo qui a scrivere: vorrei raccontare che c’è molto di più dietro la raccolta delle olive del mero numero di kg di raccolto prodotto; in gioco c’è anche molto altro!


Sarà che in questo periodo ho letto diversi libri di Salvatore Brizzi, sarà che sto guardando sempre più consapevolmente a ciò che ci accade: guardo agli eventi della vita come uno specchio di ciò che siamo e siamo stati dentro di noi in ogni momento. E non posso negare l’oggettività della mia storia personale che lo dimostra.

I ricordi delle prime raccolte dopo la morte di mio padre sono molto nebulosi: avevo poco più di vent’anni e molta confusione in testa, ma avevo la certezza del desiderio di coltivare il rapporto con la natura e la terra, perché percepivo che quelle erano le poche cose che mi facevano davvero bene. Allontanarmi dalla civiltà e ritrovare dei momenti di silenzio mi aiutava. Erano tempi in cui elaborare il vissuto e gli eventi familiari, far ordine tra i pensieri e godere di momenti di rilassamento dallo stato di tensione quotidiana.

Per lo più, l’animatrice delle prime raccolte fu mia madre Rossana, aiutata da me, che sono il maggiore, e dai miei fratelli più piccoli, Paolo e Chiara. Sebbene improvvisati e senza esperienza, ci dotammo di teli, cassette e rastrellini manuali e raccogliemmo le prime olive, che andarono a molitura. Ricordo che, nel malinconico clima dovuto alla scomparsa di mio padre, questa attività ci permise di creare coesione tra di noi, che eravamo il pezzo di famiglia restante, e dentro di me sentivo di onorare comunque mio padre dando seguito alla gestione del piccolo oliveto da lui avviato prima di andarsene.

Il valore della collaborazione

Ancora non ne ero consapevole, ma il coordinarsi insieme, come una squadra, nel raggiungere un obiettivo comune è qualcosa di davvero importante e utile per la coesione di una famiglia o di un gruppo. Aiutarsi l’un l’altro nello spostare, posizionare, raccogliere e poi piegare i teli (chiamati anche reti), trasportare e condividere il peso delle casse piene di olive sono tutte attività che stimolano a trovare un’affinità di gruppo. Bisogna ascoltare e accettare i tempi e i modi dell’altro e quindi uscire un tantino fuori dal nostro egocentrismo ed empatizzare con chi abbiamo di fronte.

Ritrovarci insieme nella chioma dell’albero, mentre con il rastrellino si sgrullano le olive facendole cadere sui teli, è un’attività che oggi valuto particolarmente interessante perché, mentre una parte del cervello è impegnata a presiedere e coordinare l’attività manuale-muscolare di raccolta delle olive, spesso nascono conversazioni con il vicino raccoglitore che risultano molto rilassanti, oppure scherzose o profonde… Ho la sensazione che, nel condividere con l’altro mentre si svolge un lavoro “produttivo”, la mente razionale, che ci vuole produttivi e laboriosi, sia in un certo senso “appagata-distratta”, come fosse un trucchetto per accedere velocemente a un diverso livello di coscienza-condivisione.

Altro momento topico nella raccolta delle olive è quando si raccolgono i teli pieni di olive, come pescatori che tirano su le reti piene di pesci. Tirando tutto intorno dai vari lati, in più persone si fanno convergere verso il centro i mucchietti di olive, che poi andranno raccolti nelle cassette. È un momento importante soprattutto per la pausa che solitamente (nella nostra tradizione) si vive tutti insieme, inginocchiati di fronte e intorno al mucchietto di olive raccolte al centro.

Questo è uno dei momenti più belli: la distensione di fronte al lavoro terminato, volgendo lo sguardo all’abbondanza che abbiamo di fronte. Ai bambini spesso viene voglia di rotolarsi nel mucchio di olive! Anche questa è un’esperienza da fare!

Di tutto questo comunque non ero consapevole a vent’anni; eravamo immersi in questa ricchezza senza saperlo, anzi ci pensavamo inesperti, non attrezzati in quanto novelli olivicoltori, e quindi godevamo del piacere di quei ritmi ma senza l’orgoglio e la dignità che segue una diversa consapevolezza di sé.

L’inganno della Modernità: Gli scuotitori ad aria compressa

Quindi, come i poveri del Sud del mondo che vengono allettati dalla modernità e dal progresso credendo che lì ci sia qualcosa in più o di superiore, anche noi siamo stati presto contagiati dall’indotto bisogno di maggiore velocità, maggiore produttività e minore (apparente) fatica.

Ricordo benissimo quando sono andato ad acquistare il mio primo scuotitore per la raccolta: era un motocompressore a scoppio su ruote, che quindi si poteva spostare a mano tra gli ulivi. Si potevano attaccare ben due aste scuotitrici ad aria compressa. Uno strumento che vendevano come professionale perché, se adeguatamente potato, potevi veramente spogliare un albero delle sue olive in un batter d’occhio in due operatori… ma che rumore!

Avevo 26-27 anni e la mia testa era frastornata così tanto dalle idee inculcate che bisognava produrre e guadagnare, che quasi il frastuono del compressore e delle aste scuotitrici quasi non arrivava alla mia coscienza! Ma era davvero stressante…

Alla fine ho capito che amavo gli olivi e che avrei voluto continuare a potare e raccogliere, ma in modo meno stancante. Ho messo in vendita l’attrezzo infernale e, come sempre, quando stiamo facendo la cosa giusta, la vita ci aiuta: in pochi giorni arrivò un acquirente.

Oggi mi è più chiaro che ognuno attraversa un soggettivo momento della sua vita e, in base al proprio livello di coscienza-consapevolezza, deve fare le esperienze più adatte alla sua crescita personale.

Comunque, per me fu un gran sollievo liberarmi di quell’arnese, che usai solamente per un paio di stagioni. Avevo deciso che sarei passato agli attrezzi elettrici, decisamente più silenziosi e più leggeri da trasportare.


La volta dell’elettrico

Fu così che, negli anni successivi, mi ritrovai nel giro di poco a maneggiare lo scuotitore Elettrico Pellenc. Si diceva fosse il migliore sul mercato: poteva essere alimentato da una batteria al litio a spalla (molto costosa) oppure collegato a una normale batteria di un’auto. Nel nostro caso usavamo delle batterie da auto montate su un carrellino con le ruote, che poteva facilmente essere trasportato seguendo l’avanzare dei raccoglitori tra gli alberi di olive.

La qualità del lavoro era lievemente migliorata grazie alla minore rumorosità, ma il rumore c’era ancora, oltre allo stress delle vibrazioni e alla fatica sul collo per il fatto di rimanere sempre con lo sguardo rivolto verso i rami alti (visto che quelli bassi li raccoglievano gli altri familiari a mano). Le conversazioni intorno alla chioma degli alberi erano disturbate da questo attrezzo, che arrivava come una furia a far vibrare i rami, facendo cadere cascate di olive in testa a chi operava in basso, a volte anche dolorosamente. Ma soprattutto stavo ancora (e lo sono rimasto per molti anni) in una frenesia da produzione: mi sforzavo di pompare al massimo la produttività, da un lato in positivo, cercando di organizzare e coordinare in modo efficace il ruolo dei membri della squadra e motivando il gruppo per mantenere ritmi serrati; dall’altro in negativo, perché a fine giornata mi ero goduto poco (forse il momento più bello era quello della pausa pranzo). Inconsapevolmente dominava ancora in me il pensiero che il piacere e la felicità sarebbero arrivati con un’abbondante produzione realizzata in tempi stretti. Conseguenza del bisogno “malato” di dimostrare qualcosa a qualcuno!

In realtà non mi rendevo conto che, per il timore di perder tempo (come sempre accade in ogni ambito delle nostre vite e per ogni nostro timore), non stavo facendo altro che perdermi davvero tutto il tempo e la bellezza di ogni istante. Ero esattamente come il consumatore medio del capitalismo galoppante, che sposta sempre il raggiungimento della propria felicità a un futuro che verrà, al raggiungimento di un qualche traguardo materiale che in realtà si sposta sempre più in là e che non si raggiunge mai.

Devo ringraziare profondamente la vita e prendere atto del mio destino, per il quale non ho mai perso del tutto il contatto con quel seme, quel germoglio di consapevolezza latente, che mi costringeva ad ammettere che ancora qualcosa non stava funzionando, che non poteva essere così la vita, che doveva esserci di meglio e che quindi avrei dovuto cercare altre strade, mettere in discussione, cambiare qualcosa.

Nel frattempo è arrivata la relazione con la mia attuale compagna Alessia e sono arrivati i miei tre figli Nathan, Nikita e Nahele, che oggi hanno quasi 10, 7 e 5 anni. Nuove avventure, sfide e prove che stimolano a crescere e mettersi in discussione. Ma le olive ci sono sempre state: non abbiamo mai saltato un anno, né con i corsi, né con la potatura, né con la raccolta!

Ho impressa nella mente l’immagine di Alessia che raccoglie le olive con i bambini neonati in fascia. Tanti bellissimi momenti con la mia famiglia stretta, con i miei suoceri e con altri amici con cui sono nati rapporti profondi, alcuni dei quali durano ancora oggi. L’aiutarci l’un l’altro, il condividere le pause pranzo o i piccoli scontri sulle visioni diverse di come procedere nei lavori: tutte esperienze che porto piacevolmente dentro di me.

Un Test Annuale su noi stessi

Devo sottolineare il fatto che la presenza costante e continuativa negli anni di questa attività stagionale è un fattore determinante per renderla anche un momento di test, per fare il punto della situazione dentro di noi. Mi è sempre venuto spontaneo, a ogni raccolto, ricordare il precedente, non solo per la valutazione del diverso risultato di produzione, ma anche e soprattutto per valutare me stesso e come mi sono vissuto quel momento, per impegnarmi a essere una persona migliore di anno in anno: nel reagire in modo più saggio agli eventi, agli atteggiamenti degli altri o alle situazioni di difficoltà pratica, ma anche per adottare strategie che rendessero il tutto più piacevole e armonioso possibile.

Ci si ritrova, in un certo senso, di fronte a un test: sai che, se rispondi male a qualcuno, ti rovini e rischi di rovinare la giornata anche per altri, quindi devi “ricordarti” gli errori fatti, cercare di sforzarti di essere presente. Sai che se parti a razzo la mattina, dando troppo, arrivi il pomeriggio sfiancato (specie se mangi troppo a pranzo). Cerchi di ritagliarti, tra i vari compiti (raccolta a mano, con lo scuotitore, spostamento telo, raccolta olive dal telo, caricamento cassette sul mezzo di trasporto, ecc.), quello che ti piace di più, ma anche quello che è più utile al fluire del lavoro e di tutto il gruppo, il ruolo che mette meglio a frutto le tue capacità. Insomma, sono molte le cose da tenere in considerazione. Ma è molto bella la spontaneità che di solito si lascia nella scelta dei ruoli ai gruppi familiari-amicali: una sorta di esperienza anarchica in cui, quando c’è maturità e responsabilità individuale, magicamente tutto fluisce bene.

Negli anni ho dovuto lavorare molto sulla pazienza nei confronti delle persone “lente” o incapaci di intuire al volo un comando. Ora mi appare così ovvio e banale che il problema era il mio e non dell’altro, ma non è stato sempre così. Provengo da un’educazione in cui mi erano fatte pesare queste caratteristiche: venivi criticato e deriso se non eri “sveglio” e non ti sbrigavi a fare il tuo lavoro, per cui mi sono portato dentro il giudizio e l’intolleranza verso questi aspetti di me stesso.

Ovviamente, questo non significa che sia sempre un bene andare lenti e non essere svegli e sul pezzo di ciò che si sta facendo, semmai il contrario, ma significa saper accettare con leggerezza interiore, guardare con amore e compassione, scoprendo che questo atteggiamento è anche il più funzionale per favorire la trasformazione verso una maggiore capacità o un maggiore impegno.

Mi sento di raccontare queste vicende personali perché ognuno, nelle sue soggettive dinamiche, ha delle cose da affrontare e risolvere. È importante ricordarci che proprio in ciò che ci spazientisce, ci fa arrabbiare o in generale ci smuove qualcosa dentro, risiede il maestro, la guida che ci indica un aspetto su cui dobbiamo fare del lavoro interiore per crescere ed evolverci.

Il rapporto con i Figli

Ad esempio, a chi ha dei figli molto probabilmente è capitato di chiedere loro aiuto e di sentirsi rispondere: “Non mi va”, “Adesso non posso” o frasi simili, che di solito sono poco piacevoli, tanto più se la richiesta di aiuto arriva in un momento di particolare necessità… Oltretutto, sui nostri figli ci sentiamo spesso di poter esercitare una certa autorità, per cui spesso si va in reazione interiore e si tenta di imporre l’esecuzione del compito con la forza di una minaccia o di un tono più deciso, con il risultato che il bambino arriva a svolgere quel compito demotivato e controvoglia, stonando con la piacevole atmosfera di gioiosa collaborazione di gruppo in cui magari eravamo immersi fino a quel momento.

Quindi cosa fare in questi casi?

Personalmente lavoro sul mantenere la mia presenza interiore e sull’osservare le reazioni che scatenano dentro di me gli eventi. Dopodiché cerco di dare amore e accettazione alle mie ferite. Quasi tutti abbiamo delle lacune di autostima su molti fronti. In questo caso, quando un figlio non ci ubbidisce o non arriva velocemente al nostro servizio, il nostro orgoglio viene toccato; quindi, ci rimaniamo male per una nostra debolezza e fragilità interiore che, magicamente, una volta sanata, fa sì che cambino anche le reazioni dei figli e del mondo esterno in generale. Provare per credere!

Secondariamente, ho notato che quando diamo ai figli (e non dico sia semplice) le giuste attenzioni, la giusta comprensione e ascolto verso i loro problemi, allora loro sono molto più disponibili anche nei nostri confronti. Il tema è complesso e delicato e ovviamente potremmo scrivere a lungo di queste dinamiche, ma quello che mi sta a cuore condividere è il fatto che, man mano che si cresce come persona, padre e uomo (crescita non legata all’età anagrafica), anche il momento della raccolta può assumere forme e connotati nuovi. Al contempo, i cambiamenti in me sono avvenuti anche grazie al fatto di essermi messo in gioco ogni anno in questa esperienza, che ci dona opportunità di lavorare a stretto contatto con altri, stimolando il raggiungimento di una sana cooperazione, che avviene tanto più quanto de-meccanizziamo il lavoro e investiamo sulla collaborazione tra amici, vicini e parenti. (Sugli attrezzi tecnologici vedere articolo a parte).

Il ritorno alla raccolta manuale

Ovviamente, questo significa andare in controtendenza rispetto alla società moderna che, sull’onda del “divide et impera”, tende a spingerci nella direzione opposta: ognuno chiuso nella sua casa, dietro la sua recinzione, dietro le proprie inferriate, senza condividere nulla, essendo autonomi in tutto, in modo da non dover chiedere niente al vicino, ma anzi guardando sempre con sospetto e diffidenza il prossimo.

Riflettevo in questi giorni sul ricordo di mio suocero Giancarlo, che mi “riprendeva” quando, per cercare di sbrigarmi, lasciavo un po’ di olive, specie sui rami alti dell’albero. Su questo aspetto ci sarebbe da riflettere non poco: raccogliere fino all’ultima oliva non è un gesto razionale, ma molto profondo. Mi è venuto da paragonarlo al mangiare fino all’ultimo chicco di riso nel piatto, cosa che faccio per abitudine, presa dai viaggi in India e dalla frequentazione di sadhu e asceti. Abitudine che spontaneamente ho condiviso e cerco di trasmettere ai miei figli, come forma di rispetto per il cibo, ma anche di cura e attenzione in ciò che stiamo facendo.

Ad ogni modo, chi si concede di raccogliere fino all’ultima oliva si è liberato, almeno in parte, dall’ansia e dalla fretta di produrre e di sbrigarsi. Molto probabilmente si sta godendo il momento e vuole godersi anche lo spettacolo dell’albero “ben ripulito” e del lavoro compiuto alla perfezione.

A questo proposito, devo fare una menzione speciale per Alessandro, l’ex compagno di un’amica di famiglia, che per qualche anno ha raccolto con noi. Un ragazzo molto sensibile, sempre sorridente, il cui ricordo è rimasto nel cuore. Lui era uno dei rari raccoglitori dell’ultima oliva, capace di arrampicarsi in cima a un ramo solo per prendere un ultimo piccolo frutto!

Forse, come dice mia suocera Caterina, anche l’albero è più contento se raccogliamo tutto, perché sente più valorizzato il suo lavoro di produzione!

In questi giorni, avendo deciso da qualche anno di raccogliere gli olivi di casa completamente a mano e senza fretta, mi sono ritrovato a cercare di ripulirli alla perfezione e non potevo non ricordare di quando deridevo scherzosamente mio suocero, dichiarando maniacale la sua voglia di mettersi a raccogliere fino all’ultima oliva. Come cambiano le cose!

Una questione di “Scala

Ovviamente, ogni scelta pratica e operativa deve essere contestualizzata alla situazione oggettiva in cui ci si trova: quanti olivi possiedo, di quali attrezzi dispongo e quanto tempo ho a disposizione… Ma il punto è ricordarsi che la situazione oggettiva in cui ci troviamo l’abbiamo creata noi e che, di anno in anno, possiamo aggiustare il tiro e crearci la situazione che si confà maggiormente all’obiettivo di trasformare il lavoro in un momento di bellezza e gioia, piuttosto che subirlo e adattarci, piegandoci alla velocità che spazza via la qualità (sia interiore che esteriore), perché con le nostre scelte ci siamo ridotti a dover svolgere molto lavoro in poco tempo.

Quindi, prendiamoci tutto il tempo necessario, magari qualche giorno di ferie in più, ma lavoriamo con serenità, godendo di ogni momento.

Personalmente, sono passato dalla gestione di svariate centinaia di ulivi all’anno a poche decine, sufficienti per l’auto produzione di olio domestico, essendo per me prioritario il non-lavoro, ossia far sì che ogni atto quotidiano sia utile all’autosufficienza, ma allo stesso tempo sia svolto con la gioia e il piacere di quel che si sta facendo.

Salire troppo con i numeri in genere non aiuta in questo: le attività che si ripetono per troppo tempo a uno come me stancano. Ho bisogno di confrontarmi con sfide nuove, uscire dalla mia area di comfort, trovare soluzioni a problemi nuovi e quindi continuare a usare il cervello per mantenermi vivo e attivo. Ma c’è anche da dire che bisogna sapersi godere la ripetitività dei lavori monotoni, in quanto sono opportunità di “meditazione” e di rilassamento.

Focalizzare l’obbiettivo

Credo ci sia un momento per ogni cosa e che ognuno abbia i suoi momenti. L’importante è rimanere vigili, in ascolto di noi stessi, e focalizzare l’obiettivo sulla creazione di bellezza e armonia, dentro e fuori.

Mi si riempie il cuore di gioia quando, dall’alto della scala, mentre raccolgo le olive, osservo i miei figli che giocano armoniosamente sulle reti per le olive. Li osservavo massaggiarsi a vicenda sulla schiena e poi lungo tutto il corpo con le manine per la raccolta, ridendo come matti. Ho ascoltato qualche giorno fa mio figlio Nikita, di 7 anni, esclamare serio, dal nulla: “Raccogliere le olive è la cosa più bella del mondo!”. Sono frasi da bambino, che per tali vanno prese, ma che semplicemente mi raccontano che in quel momento lui era felice!

Oltretutto, Nikita è per certi versi il più sensibile dei tre fratelli, per cui so che la sua felicità significa anche un feedback di una certa armonia complessiva.

Non penso di essere arrivato al capolinea, ma semplicemente di essermi messo sul sentiero, nella direzione di chi ritorna a contemplare la qualità del lavoro e il benessere dell’uomo-operatore al primo posto. Cosa che può fare chiunque, se solo lo desidera.


Ispirazione dalle contadine Indiane

Un’immagine impressa nella mia mente e nel mio cuore forse può aiutarmi a far capire la direzione di questo cammino: ero andato per un secondo, più breve viaggio in India tanti anni fa e, camminando nelle campagne sperdute di un paesino, a un certo punto rimasi folgorato da un’immagine. Tre contadine, ben vestite con i loro bellissimi turbanti colorati, stavano raccogliendo il riso, ma come? Si muovevano tutte e tre ritmicamente e coordinate perfettamente tra di loro, con movimenti aggraziati e fluidi. Al contempo, cantavano una dolce melodia. Sono rimasto ipnotizzato! Cosa era quello? Arte, sport, lavoro? Definirlo con delle parole sarebbe limitante, ma a me piace considerare queste espressioni del genere umano come manifestazioni di vera cultura (dal latino colere, “raccogliere”, a indicare proprio il modo in cui ogni popolo ha imparato a nutrirsi in un determinato contesto geografico), vero progresso e sviluppo!

Contrariamente a quanto la cultura scientista imperante vorrebbe farci credere, quelle contadine (e non dico che sia sempre così) erano gioiose ed emanavano un raggio di luce indescrivibile.

Riflessioni e insegnamenti

Cosa c’è di diverso tra loro e il contadino triste e sfinito, che lavora controvoglia, magari sfruttato e sottopagato?

Quel che cambia è lo stato interiore, non le condizioni esterne.

Qualcuno più saggio di me mi disse una volta che “il mondo sta negli occhi di chi vede”, a voler raccontare che siamo noi a generare la nostra realtà, siamo noi che possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto e scegliere quindi se goderci ogni istante infischiandocene di obiettivi, aspettative, giudizi, paure e quant’altro, o vivere alimentando le ansie e le paure, che necessariamente ci spingono ad allontanarci dalla gioia interiore di chi riesce a vivere il momento presente.

Ho scoperto che, impiegando (nel modo corretto) qualche energia in più con meno meccanizzazione, si guadagna di solito in salute fisica e psichica, godendoci un pezzo in più di paesaggio intermedio tra il punto di partenza e quello di arrivo. Anche il nostro corpo ci dice che qualcosa non va quando andiamo troppo veloci, facendoci provare varie forme di disagio.

Un po’ come la differenza tra lo spostarsi in aereo, in auto, in bici, a piedi, oppure a piedi scalzi con una camminata consapevole e meditativa!

Ogni ritmo corrisponde a un diverso stato interiore.

Per questo il titolo: Dimmi come raccogli le olive e ti dirò chi sei.

Eccoci quindi qui, a raccogliere le olive di casa. In questi giorni, tempo permettendo, mettiamo i teli e iniziamo. Ognuno fa quello che può e che si sente di fare, con una responsabilità personale derivante dalla gioia di avere un buon olio per i nostri pasti quotidiani.

È bello e paradossale che, proprio mentre siamo impegnati a “lavorare”, si trovi più tempo del solito per scambiare chiacchiere con i vicini di casa che passano casualmente a trovarci. A molti viene spontaneo prendere un rastrellino e aiutare… Così, mentre si raccolgono le olive, si parla e ci si racconta, abbracciati dalla chioma dell’albero.


Simone Itri

Cerveteri, 2 ottobre 2022