Questa breve premessa per raccontare come è nato il mio rapporto con la pianta, l’olivo, che va avanti da oramai più di venti anni. In questi giorni stiamo nel pieno della raccolta delle olive 2022 e mentre ero arrampicato in mezzo ai rami degli alberi ho sentito il desiderio di condividere alcune riflessioni per raccontare come una apparentemente ingenua e materiale attività come questa, possa affiancarsi in realtà ad un percorso di crescita interiore.
Aggiungo anche che pochi giorni fa nel gruppo whatsapp degli allievi che hanno frequentato il nostro corso di potatura, uno di loro ha chiesto informazioni e suggerimenti per acquistare un buon modello di scuotitore per la raccolta delle olive. Ho risposto velocemente con un messaggio che, pur nel rispetto di chi sceglie la via e gli indubbi vantaggi materiali dello scuotitore, elencasse anche i vantaggi della raccolta a mano, ma qualcosa al mio interno mi diceva che quella spiegazione con un messaggio nel gruppo era troppo poco esaustiva.
Per questo motivo mi trovo qui a scrivere, vorrei raccontare che c’è molto di più dietro alla raccolta delle olive che il mero numero di kg di raccolto prodotto; In gioco c’è anche molto altro!
Sarà che in questo periodo ho letto diversi libri di Salvatore Brizzi; sarà che sto guardando sempre più consapevolmente a ciò che ci accade: guardo agli eventi della vita come uno specchio di ciò che siamo e siamo stati dentro di noi in ogni momento. E non posso negare l’oggettività della mia storia personale che lo dimostra.
I ricordi delle prime raccolte dopo la morte di mio padre sono molto nebulosi, avevo poco più di venti anni e molta confusione in testa, certezza nel desiderio di coltivare il rapporto con la natura e la terra perché percepivo che quelle erano le poche cose che mi facevano davvero bene, allontanarmi dalla civiltà e ritrovare dei momenti di silenzio mi aiutava. Erano tempi in cui elaborare il vissuto e gli eventi familiari, far ordine tra i pensieri e godere di momenti di rilassamento dallo stato di tensione quotidiana. Nel frattempo, a vent’anni ero anche stato eletto consigliere comunale a Ladispoli, ma questa è un’altra storia. Per lo più l’animatrice delle prime raccolte fu mia madre Rossana, aiutata da me che sono il maggiore ed i miei fratelli più piccoli, Paolo e Chiara; seppur improvvisati e senza esperienza, ci dotammo di teli, cassette e rastrellini manuali e raccogliemmo le prime olive che andarono a molitura. Ricordo che, nel malinconico clima dovuto alla scomparsa di mio padre, questa attività ci permise di creare coesione tra di noi che eravamo il pezzo di famiglia restante e dentro di me sentivo di onorare comunque mio padre dando seguito alla gestione del piccolo Oliveto da lui avviato prima di andarsene. Ancora non ne ero consapevole, ma il coordinarsi insieme, come una squadra, nel raggiungere un obiettivo comune è qualcosa di davvero importante ed utile per la coesione di una famiglia o di gruppo. Aiutarsi l’un l’altro nello spostare, posizionare, raccogliere e piegare poi i teli (chiamati anche reti), trasportare e condividere il peso delle casse piene di olive, sono tutte attività che stimolano a trovare un’affinità di gruppo, bisogna ascoltare ed accettare i tempi e modi dell’altro e quindi uscire un tantino fuori dal nostro egocentrismo ed empatizzare con chi abbiamo di fronte. Ritrovarci insieme nella chioma, dell’albero mentre con il rastrellino si sgrullano le olive facendole cadere sui teli, è un’’attività che ad oggi valuto particolarmente interessante perché, mentre una parte del cervello è impegnata a presiedere e coordinare l’attività manuale-muscolare di raccolta delle olive, spesso nascono conversazioni con il vicino raccoglitore, che risultano molto rilassanti oppure scherzose o profonde… ho la sensazione che nel condividere con l’altro mentre si svolge un lavoro “produttivo” la mente razionale che ci vuole produttivi e laboriosi (figlia delle terribili forme pensiero tipo: “prima il dovere poi il piacere”) sia in un certo senso “appagata-distratta” come fosse un trucchetto per accedere velocemente ad un diverso livello di coscienza-condivisione.
Altro momento topico nella raccolta delle olive è quando si raccolgono i teli pieni delle olive come pescatori che tirano su le reti piene di pesci, tirando tutto intorno dai vari lati in più persone si fanno convergere verso il centro i mucchietti di olive che poi andranno raccolte nelle cassette. è un momento importante soprattutto per la pausa che solitamente (nella nostra tradizione) si vive tutti insieme inginocchiati di fronte ed intorno al mucchietto di olive raccolte al centro. Prima di tutto è un momento di riposo fisico dopo l’attività; in questa posizione “sacra” dell’inginocchiarsi, si immergono le mani nelle olive tirandone fuori eventuali rametti foglie o impurità prima di trasferirle nelle cassette. Questo è uno dei momenti più belli, la distensione di fronte al lavoro terminato, volgendo lo sguardo all’abbondanza che abbiamo di fronte per poi svolgere un altro passaggio di grande coordinazione di gruppo nel sollevare insieme il telo in modo da far cadere le olive nella cassetta. Ai bambini spesso viene voglia di rotolarsi nel mucchio di olive! Anche questa è un’esperienza da fare!).
Di tutto questo comunque non ero consapevole a vent’anni; eravamo immersi in questa ricchezza senza saperlo, anzi ci pensavamo inesperti, non attrezzati in quanto novelli olivicoltori e quindi godevamo del piacere di quei ritmi ma senza l’orgoglio e la dignità che segue una diversa consapevolezza di se.
Quindi, come i poveri del sud del mondo che vengono allettati dalla modernità e dal progresso credendo che li ci sia qualcosa in più o di superiore, anche noi siamo stati presto contagiati dall’indotto bisogno di maggiore velocità, maggiore produttività e minore (apparente) fatica.
Ricordo benissimo quando sono andato ad acquistare il mio primo scuotitore per la raccolta: era un motocompressore a scoppio su ruote e che quindi si poteva spostare a mano tra gli ulivi; si potevano attaccare ben due aste scuotitrici ad aria compressa. Uno strumento che vendevano come professionale perché, se adeguatamente potato, potevi veramente spogliare un albero delle sue olive in un batter d’occhio in due operatori che in genere ci si divideva uno sulla chioma alta e uno su quella bassa, tenendo le rispettive aste una più allungata e una meno… ma che rumore! Avevo 26-27 anni e la mia testa era frastornata così tanto dalle idee inculcate che bisognava produrre e guadagnare che quasi il frastuono sia del compressore che attaccava per riempire la bombola di aria compressa, sia delle vibrazioni delle aste scuotitrici, quasi non arrivava alla mia coscienza! Ma era davvero stressante; a quell’età non ci badi molto, poi pensavo alle ragazze, un anno addirittura organizzai un campo di volontariato internazionale con trenta volontari da tutto il mondo per rimettere in produzione un bellissimo oliveto secolare, l’oliveto dei monti di Alice, qui a Cerveteri. Decisi di prendere in gestione questo posto perché’ me ne ero innamorato, dal terreno a ridosso dei colli boscosi si poteva ammirare il mare nell’ampia vista sull’orizzonte; era bellissimo goderselo nel silenzio, al tramonto quando accompagnati dalla stanchezza di fine giornata ci si sedeva sul prato ad ammirare l’orizzonte…. ma in quei tempi predominava una certa frenesia di dover arrivare da qualche parte, correvo, avevo molta energia, per organizzare, per produrre, dovevo ripagarmi, con la vendita dell’olio, le spese degli investimenti effettuati ed è stato un periodo molto bello ma che mi ha fatto riflettere su ciò che stavo facendo… quando alla fine dei conti vedevo che dovevo lavorare tanto per ripagarmi il costo degli attrezzi, nonché gestire grandi quantità per poter pagare le giornate di lavoro ai ragazzi che mi aiutavano, il mio pick-up che invecchiava e si logorava a vista d’occhio per l’intenso lavoro cui era sottoposto nel trasportare quotidianamente attrezzature e olive e non mi stavo oltretutto nemmeno arricchendo; allora ho cominciato a ridimensionarmi! Ero certo che amavo gli olivi e che avrei voluto continuare a potare e raccogliere, ma anche che volevo farlo in modo meno stancante, presi lo slancio per mettere in vendita l’attrezzo infernale del motocompressore a scoppio e come sempre quando stiamo facendo la cosa giusta, la vita ci aiuta e in pochi giorni arrivò un acquirente… una parte di me si sentiva in colpa a farsi pagare per avere in cambio quella macchina generatrice di stress, per questo e per inesperienza, non fui molto solido nella trattativa e concessi con molta facilità alcune centinaia di euro di sconto. Oggi mi è più chiaro il fatto che ognuno attraversa un soggettivo momento della sua vita e, in base al proprio livello di coscienza-consapevolezza, deve fare le esperienze più adatte alla sua crescita personale.
Comunque per me fu un gran sollievo liberarmi di quell’arnese, che usai solamente per un paio di stagioni. Avevo deciso che sarei passato agli attrezzi elettrici decisamente più silenziosi e più leggeri da trasportare.
Fu così che negli anni successivi mi ritrovai nel giro di poco a maneggiare lo scuotitore Pellenc, si diceva fosse il migliore sul mercato, poteva essere alimentato da una batteria al litio a spalla (molto costosa) oppure collegato ad una normale batteria di una macchina, nel nostro caso usavamo delle batterie da auto montate su un carrellino con le ruote che poteva facilmente essere trasportato seguendo l’avanzare dei raccoglitori tra gli alberi di olive.
La qualità del lavoro era lievemente migliorata grazie alla minore rumorosità; ma il rumore c’era ancora, oltre allo stress delle vibrazioni, la fatica sul collo per il fatto di rimanere sempre con lo sguardo rivolto verso i rami alti (visto che quelli bassi li raccoglievano gli altri familiari a mano) le conversazioni intorno alla chioma degli alberi erano disturbate da questo attrezzo che arrivava come una furia a far vibrare i rami e cadere cascate di olive in testa a chi operava in basso a volte anche dolorosamente; ma soprattutto stavo ancora, (e lo sono rimasto per molti anni) in una frenesia da produzione; mi sforzavo di pompare al massimo la produttività; da un lato in positivo cercando di organizzare e coordinare in modo efficace il ruolo dei membri della squadra e motivando il gruppo per mantenere ritmi serrati, dall’altro in negativo perché a fine giornata mi ero goduto poco (forse il momento più bello era quello della pausa pranzo). Inconsapevolmente dominava ancora in me il pensiero che il piacere e la felicità sarebbero arrivati con una abbondante produzione realizzata in tempi stretti. Conseguenza del bisogno “malato” di dimostrare qualcosa a qualcuno!
In realtà non mi rendevo conto che per il timore di perder tempo (come sempre accade in ogni ambito delle nostre vite e per ogni nostro timore) non stavo facendo altro che perdermi davvero tutto il tempo e la bellezza di ogni istante. Ero esattamente come il consumatore medio del capitalismo galoppante, che sposta sempre il raggiungimento della propria felicità ad un futuro che verrà; al raggiungimento di un qualche traguardo materiale che in realtà si sposta sempre più in là e che non si raggiunge mai.
Devo ringraziare profondamente la vita e prendere atto del mio destino per il quale non ho mai perso del tutto il contato con quel seme, quel germoglio di consapevolezza latente, che mi costringeva ad ammettere che ancora qualcosa non stava funzionando, che non poteva essere così la vita, che doveva esserci di meglio, e che quindi avrei dovuto cercare altre strade, mettere in discussione, cambiare qualcosa.
Nel frattempo è arrivata la relazione con la mia attuale compagna Alessia e sono arrivati i miei tre figli Nathan, Nikita e Nahele che oggi hanno quasi 10, 7 e 5 anni. Nuove avventure, sfide e prove che stimolano a crescere e mettersi in discussione. Ma le olive ci sono sempre state, non abbiamo mai saltato un anno, né con i corsi né con la potatura né con la raccolta!
Ho impressa nella mente l’immagine di Alessia che raccoglie le olive con i bambini neonati in fascia. Tanti bellissimi momenti con la mia famiglia stretta, con i miei suoceri, e con altri amici con cui sono nati rapporti profondi di cui alcuni durano ancora oggi. Grazie agli olivi incontrai ad es Antonio che ad oggi è, con grande gioia di tutti, oltre che un amico, uno degli insegnanti all’interno del corso di potatura. L’aiutarci l’un l’altro il condividere le pause pranzo, o i piccoli scontri sulle visioni diverse di come procedere nei lavori, tutte esperienze che porto piacevolmente dentro di me.
Devo sottolineare il fatto che la presenza costante negli anni di questa attività stagionale è un fattore determinante per renderla anche un momento di test per fare il punto della situazione dentro di noi; mi è sempre venuto spontaneo ad ogni raccolto ricordare il precedente, non solo per la valutazione del diverso risultato di produzione, ma anche e soprattutto per valutare me stesso e come mi sono vissuto quel momento, per impegnarmi ad essere una persona migliore di anno in anno; nel reagire in modo più saggio agli eventi, agli atteggiamenti degli altri o alle situazioni di difficolta pratica, ma anche per adottare strategie che rendessero il tutto più piacevole ed armonioso possibile. Ci si ritrova in un certo senso di fronte ad un test, sai che, se rispondi male a qualcuno, ti rovini e rischi di rovinare la giornata anche per altri, quindi devi “ricordarti” gli errori fatti, cercare di sforzarti di essere presente, sai che se parti a razzo la mattina dando troppo, arrivi il pomeriggio sfiancato (specie se mangi troppo a pranzo); cerchi di ritagliarti tra i vari compiti (raccolta a mano, con lo scuotitore, spostamento telo, raccolta olive dal telo, caricamento cassette sul mezzo di trasporto ecc…), quello che ti piace di più ma anche che è più utile al fluire del lavoro e di tutto il gruppo, il ruolo che mette meglio a frutto le tue capacità. Insomma sono molte le cose da tenere in considerazione. Ma è molto bella la spontaneità’ che di solito si lascia nella scelta dei ruoli ai gruppi familiari-amicali. Una sorta di esperienza anarchica in cui quando c’è maturità’ e responsabilità individuale magicamente tutto fluisce bene. Negli anni ho dovuto lavorare molto sulla pazienza nei confronti delle persone “lente” o incapaci di intuire al volo un comando; ora mi appare così ovvio e banale che il problema era il mio e non dell’altro, ma non è stato sempre così. Provengo da un educazione in cui mi erano fatte pesare queste caratteristiche, venivi criticato e deriso se non eri “sveglio” e non ti sbrigavi a fare il tuo lavoro per cui mi sono portato dentro il giudizio e l’intolleranza verso questi aspetti di me stesso. E, come è ovvio, quello che non accettiamo dentro di noi non lo accettiamo nemmeno quando lo vediamo negli altri (esternamente a noi). Ma dobbiamo ringraziare ancora una volta la vita che ci mostra queste cose dandoci occasione di “vedere” e “guarire”. In questo caso la guarigione avviene accettando ed amando il “bradipo” dentro di noi accettandoci anche quando rallentiamo ed anche quando non siamo così lucidi, reattivi e performanti sicché’ non giudicando noi stessi, non giudicheremo più gli altri e non ci sentiremo giudicati a nostra volta guadagnandoci in serenità e libertà di vivere anche quegli atteggiamenti (il rallentare ad esempio e riposarci un po’ ogni tanto) di cui prima dovevamo privarci assumendo sempre la maschera dell’uomo rapido, veloce, produttivo, instancabile.
Ovviamente questo non significa che è sempre un bene andare lenti e non essere svegli e sul pezzo di ciò che si sta facendo, semmai il contrario, ma significa saper accettare con leggerezza interiore, guardare con amore e compassione scoprendo che questo atteggiamento è anche il più funzionale per favorire la trasformazione verso una maggiore capacita o un maggiore impegno.
Mi sento di raccontare queste vicende personali perché ognuno nelle sue soggettive dinamiche ha delle cose da affrontare e risolvere. è importante ricordarci che proprio in ciò che ci spazientisce, ci fa arrabbiare o in generale ci smuove qualcosa dentro, è lì che risiede il maestro, la guida che ci indica un aspetto su cui dobbiamo fare del lavoro interiore per crescere ed evolverci. Ad esempio, a chi ha dei figli molto probabilmente può essere capitato di chieder loro aiuto ed essersi sentito rispondere: “non mi va”, “adesso non posso” o frasi simili che di solito sono poco piacevoli tanto più la richiesta di aiuto arriva in un momento di particolare necessità… oltretutto sui nostri figli ci sentiamo spesso di poter esercitare una certa autorità per cui spesso si va in reazione interiore e si tenta di imporre l’esecuzione del compito con la forza di una minaccia o di un tono più deciso, con il risultato che il bambino arriva a svolgere quel compito demotivato e controvoglia stonando con la piacevole atmosfera di gioiosa collaborazione di gruppo in cui magari eravamo immersi fino a quel momento. Quindi cosa fare in questi casi?
Personalmente lavoro sul mantenere la mia presenza inferiore e vedere-osservare le reazioni che scatenano dentro di me gli eventi, dopo di che, cerco di dare amore ed accettazione alle mie ferite, quasi tutti abbiamo delle lacune di autostima su molti fronti, in questo caso, quando un figlio non ci ubbidisce o non arriva velocemente al nostro servizio, il nostro orgoglio viene toccato; quindi ci rimaniamo male per una nostra debolezza e fragilità interiore che magicamente, una volta sanata, fa sì che cambiano anche le reazioni dei figli e del mondo esterno in generale. Provare per credere! Secondariamente ho notato che quando diamo ai figli (e non dico sia semplice) le giuste attenzioni, la giusta comprensività ed ascolto verso i loro problemi, allora loro sono molto più disponibili anche nei nostri confronti; il tema è complesso e delicato ed ovviamente e potremmo scrivere a lungo di queste dinamiche, ma quello che mi sta a cuore condividere è il fatto che, man mano che si cresce come persona, padre e uomo, (crescita non legata all’età‘ anagrafica) anche il momento della raccolta assume forme e connotati nuovi e, al contempo, i cambiamenti in me sono avvenuti anche grazie al fatto di essermi messo in gioco ogni anno in questa esperienza, che ci dona opportunità di lavorare a stretto contatto con altri che stimolano il raggiungimento di una sana cooperazione, che avviene tanto più quanto de-meccanizziamo il lavoro ed investiamo sulla cooperazione tra amici-vicini-parenti. (sugli attrezzi tecnologici vedere articolo a parte).
Ovviamente questo significa andare in contro-tendenza rispetto alla società moderna che, sull’onda del “divide et impera”, tende a spingerci nella direzione opposta: ognuno chiuso nella sua casa dietro la sua recinzione, dietro le proprie inferriate, non condividere nulla, essere autonomi in tutto in modo da non dover chiedere niente al vicino, ma anzi guardare sempre con sospetto e diffidenza il prossimo.
Riflettevo in questi giorni sul ricordo di mio suocero Giancarlo che mi “riprendeva” quando per cercare di sbrigarmi lasciavo un po’ di olive, specie sui rami alti dell’albero. Su questo aspetto ci sarebbe da riflettere non poco; raccogliere fino all’ultima oliva non è un gesto razionale, ma molto profondo. Mi è venuto da paragonarlo al mangiare fino all’ultimo chicco di riso nel piatto, cosa che faccio, abitudine presa dal viaggio in India, dalla frequentazione di sadhu e asceti; abitudine che spontaneamente ho condiviso e cerco di tramettere ai miei figli come forma di rispetto per il cibo ma anche di cura ed attenzione in ciò che stiamo facendo. Ad ogni modo, chi si concede di raccogliere fino all’ultima oliva si è liberato, almeno in parte, dall’ansia e dalla fretta di produrre e di sbrigarsi, molto probabilmente si sta godendo il momento, si vuol godere anche lo spettacolo dell’albero “ben ripulito” e del lavoro compiuto alla perfezione.
A questo proposito devo fare una menzione speciale per Alessandro, l’ex compagno di una amica di famiglia, che per qualche anno ha raccolto con noi, un ragazzo molto sensibile, sempre sorridente il cui ricordo è rimasto nel cuore. Lui era uno dei rari raccoglitore dell’ultima oliva, capace di arrampicarsi in cima ad un ramo solo per prendere un ultimo piccolo frutto! Forse, come dice mia suocera Caterina, anche l’albero è più contento e se raccogliamo tutto, sente più valorizzato il suo lavoro di produzione!
In questi giorni avendo deciso da qualche anno di raccogliere gli olivi di casa completamente a mano e senza fretta, mi sono ritrovato a cercare di ripulirli alla perfezione e non potevo non ricordare di quando deridevo scherzosamente mio suocero dichiarando maniacale la sua voglia di mettersi a raccogliere fino all’ultima oliva. Come cambiano le cose!
Ovviamente ogni scelta pratica ed operativa deve essere contestualizzata alla situazione oggettiva in cui ci si trova… quanti olivi possiedo, di quali attrezzi dispongo e quanto tempo a disposizione ho… ma il punto è di ricordarsi che la situazione oggettiva in cui ci troviamo l’abbiamo creata noi e di anno in anno possiamo aggiustare il tiro e crearci la situazione che si confà maggiormente ad un obbiettivo di trasformare in un momento di bellezza e gioia il lavoro, piuttosto che subire ed adattarci, piegarci alla velocità che spazza via la qualità (sia interiore che esteriore) perché, con le nostre scelte, ci siamo ridotti a dover svolgere molto lavoro in poco tempo a disposizione.
Quindi prendiamoci tutto il tempo necessario, magari qualche giorno di ferie in più ma lavoriamo con serenità godendo di ogni momento.
Personalmente sono passato dalla gestione di svariate centinaia di ulivi all’anno a poche decine, sufficienti per l’autoproduzione di olio domestico essendo per me prioritario il non lavoro ossia far sì che ogni atto quotidiano sia utile alla autosufficienza ma, allo stesso tempo, sia svolto con la gioia ed il piacere di quel che si sta facendo.
Salire troppo con i numeri in genere non aiuta in questo; le attività che si ripetono per troppo tempo ad uno come me stancano, ho bisogno di confrontarmi con sfide nuove, uscire dalla mia area di comfort trovare soluzioni a problemi nuovi e quindi continuare ad usare il cervello per mantenermi vivo ed attivo. Ma c’è anche da dire che bisogna sapersi godere la ripetitività dei lavori monotoni in quanto sono opportunità di “meditazione” e di rilassamento. Credo ci sia un momento per ogni cosa e ognuno ha i suoi momenti; l’importante è rimanere vigili, in ascolto di noi stessi e focalizzare l’obiettivo sulla creazione di bellezza ed armonia dentro e fuori.
Mi si riempie il cuore di gioia quando dall’alto della scala, mentre raccolgo le olive osservo i miei figli che giocano e armoniosamente sulle reti per le olive, li osservavo massaggiarsi a vicenda sulla schiena e poi lungo tutto il corpo con le manine per la raccolta e ridere come matti; ho ascoltato qualche giorno fa mio figlio Nikita di 7 anni esclamare serio, dal nulla: “Raccogliere le olive è la cosa più bella del mondo!” sono frasi da bambino che per tali vanno prese, ma che semplicemente mi raccontano che in quel momento lui era felice! Oltretutto Nikita è per certi versi il più sensibile dei tre fratelli, per cui so che la sua felicita significa anche un feedback di una certa armonia complessiva.
Non penso di essere arrivato al capolinea, ma semplicemente di essermi messo sul sentiero, nella direzione di chi ritorna a contemplare qualità del lavoro e benessere dell’uomo-operatore al primo posto. Cosa che può fare chiunque se solo lo desidera.
Un’immagine impressa nella mia mente e nel mio cuore forse può aiutarmi a far capire la direzione di questo cammino: ero andato per un secondo più breve viaggio in India tanti anni fa e, camminando nelle campagne sperdute di un paesino, ad un certo punto rimasi folgorato da una immagine: tre contadine ben vestite con i loro bellissimi turbanti colorati stavano raccogliendo il riso, ma come? Si muovevano tutte e tre ritmicamente e coordinate perfettamente tra di loro con movimenti aggraziati e fluidi, al contempo cantavano una dolce melodia: sono rimasto ipnotizzato! cosa era quello: arte, sport, lavoro? Definire con delle parole sarebbe limitante, ma a me piace considerare queste espressioni del genere umano come delle manifestazioni di vera cultura, (dal latino colere, raccogliere ad indicare proprio la via in cui ogni popolo ha imparato a nutrirsi in un determinato contesto geografico), vero progresso e sviluppo! Contrariamente a quanto la cultura scientista imperante vorrebbe farci credere, quelle contadine, e non dico che sia sempre cosi, ma quelle contadine erano gioiose ed emanavano un raggio di luce indescrivibile. Cosa c’è di diverso tra loro e il contadino triste, e sfinito che lavora controvoglia magari sfruttato e sottopagato?
Quel che cambia è lo stato interiore, non le condizioni esterne. Qualcuno più saggio di me mi disse una volta che “il mondo sta negli occhi di chi vede”, a voler raccontare che siamo noi a generare la nostra realtà, siamo noi che possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto e scegliere quindi se goderci ogni instante infischiandocene di obiettivi, aspettative, giudizi, paure e quant’altro, o vivere alimentando le ansie e le paure che necessariamente spingono ad allontanarci dalla gioia interiore di chi riesce a viversi il momento presente.
Ho scoperto, che impiegando (nel modo corretto) qualche energia in più con meno meccanizzazione, si guadagna di solito in salute fisica e psichica, godendoci un pezzo in più di paesaggio intermedio tra il punto di partenza e quello di arrivo. Anche il nostro corpo ci dice che qualcosa non va quando andiamo troppo veloci, facendoci provare varie forme di disagio.
Un po’ come la differenza tra lo spostarci in aereo oppure in auto, oppure in bici, a piedi, oppure a piedi scalzi con una camminata consapevole e meditativa! Ogni ritmo corrisponde ad un diverso stato interiore. Per questo il titolo: “Dimmi come raccogli le olive e ti dirò chi sei”.
Eccoci quindi qui a raccogliere le olive di casa, in questi giorni, tempo permettendo mettiamo i teli ed iniziamo, ognuno fa quello che può e che si sente di fare, con una responsabilità personale derivante dalla gioia di avere un buon olio per i nostri pasti quotidiani; è bello e paradossale che proprio mentre siamo impegnati a “lavorare”, si trova più tempo del solito per scambiare chiacchiere con i vicini di casa che passano casualmente a trovarci, a molti viene spontaneo prendere un rastrellino ed aiutare… così mentre si raccolgono le olive, si parla e ci si racconta abbracciati dalla chioma dell’albero.
Simone Itri
Cerveteri, 2 ottobre 2022